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Vista lago

Vista lago

di Giulio Ghirelli

Nel 2002 -due anni prima di fregiarmi del titolo di sessagenario– sono venuto a vivere in un paese sul Lagh de Còmm -come lo chiamano i lombardi- ovverosia il Lago di Como, ovverosia il Lario. Le mie cognizioni su questo lago si fermavano qui. Ma siccome mi sono talmente innamorato di questa meraviglia della natura, ho voluto approfondire un po’ e, grazie a Internet, ora so anche che Lario deriva dal latino Larius, e che a partire dal Medioevo venne chiamato Lacus Commacinus o Comensis. E’ posto a un’altitudine di circa 200 metri, e ha una caratteristica forma a Y rovesciata, che dicono: a forma di uomo. “El lagh de Còmm el g’ha la forma d’un omm, una gamba a Lecch e l’altra a Còmm, el nas a Domàs el cuu a Bellàs”. E’ il lago più profondo d’Italia, 418 metri.
Decantato fin dall’800 da grandi poeti e musicisti del Romanticismo, come Stendhal, Byron e Listz, sul suo ramo orientale si trova la città di Lecco, dove Alessandro Manzoni ambientò il capolavoro letterario I promessi sposi, che inizia con: Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno…
Ma mi fermo qui, perché per decantare le meraviglie di questo lago, non basterebbero mille pagine.

Vista lago. Le due parole più ricorrenti sulle locandine affisse sulle vetrine delle agenzie immobiliari. Anch’io avrei voluto una casa vista lago, ma per una serie di circostanze che non sto qui a spiegare, sono finito in una di quelle poche case che non godono di questo privilegio.
Pazienza, tanto da casa mia ad arrivare al lago sono poche centinaia di metri. E poi, per gustare i paesaggi lariani, è meglio salire sulle alture dei monti che circondano il lago, e da lì la vista è molto più affascinante. E in questi anni ho fatto in motocicletta un’infinità di strade percorribili, per arrivare alle alture più panoramiche. In una di queste esplorazioni, nel percorrere la strada statale Regina, che costeggia il ramo occidentale del lago, arrivato all’altezza di Gravedona vidi un cartello stradale che indicava: Valle del Liro.

Imboccai quella strada, e già salendo di poche centinaia di metri, alla vista comparvero dei paesaggi bellissimi. Ma lo spettacolo eccezionale apparve quando giunsi in un paesino di nome Peglio, situato a 650 metri di altitudine. All’inizio del paese vidi una stupenda chiesa, con un piazzale che dominava sul lago. Fermai la moto sul piazzale e rimasi ad ammirare quel capolavoro di costruzione. Non avrei mai immaginato che in un paesino quasi sconosciuto potesse esserci una chiesa di quel genere, e con quello spettacolo di panorama sul lago!
Purtroppo la chiesa non era aperta, e non potei far altro che perlustrarla dall’esterno, e infine annotarmi il nome scritto su una lastra in pietra: Chiesa dei Santi Eusebio e Vittore.
Rimasi sul piazzale per parecchio tempo ad ammirare il panorama, e quando alla sera tornai a casa, accesi il PC e cercai su Internet le informazioni su quella chiesa, e appresi che l’edificio originale venne demolito nei primi anni del Seicento, e subì tra il 1607 a il 1613 opere di ricostruzione e ingrandimento. La migrazione degli abitanti del paese verso la Sicilia e in particolare verso Palermo -datata tra il 1600 e il 1750 circa- è testimoniata da richiami alla tradizione religiosa della suddetta città presenti all’interno della chiesa. Qui, tra il 1614 e il 1625, a più riprese lavorò Giovanni Mauro Della Rovere, detto il Fiamminghino.

L’altare maggiore è dorato e risale al 1635. Di grande importanza storica, artistica e musicale è l’organo, collocato sopra la porta principale, realizzato tra il 1608 e il 1627 da Costanzo Antegnati di Brescia, e conservatosi originale in ogni sua parte.
Ero stupefatto nello scoprire quale tesoro possedeva questo sconosciuto paesino! E la cosa più incredibile era che i suoi abitanti andavano a cercare lavoro fino a Palermo! In merito a ciò, lessi che all’interno dell’edificio ci sono numerosi riferimenti alla tradizione palermitana, in particolare: nella cappella di San Giuseppe è presente la tela Transito del Santo, che secondo la tradizione fu inviata da Palermo. La cappella di San Carlo fu eretta in memoria della Scola -congregazione religiosa fondata dagli abitanti di un certo paese che, una volta emigrati, si riunivano in comunità- fondata a Palermo dagli abitanti di Peglio. Infine la cappella di Santa Rosalia, patrona di Palermo.
Dopo aver letto tutto questo, il mio interesse per il paese di Peglio divenne un chiodo fisso. Non passava settimana che non facessi quel percorso, sperando di trovare la chiesa aperta, ma niente.

Chiedendo notizie a qualche abitante, venni a sapere che avevano restaurato l’organo, e che era in programma la sua inaugurazione con la partecipazione di un organista di fama mondiale, dato che lo strumento era uno dei più antichi e preziosi costruito da quella storica famiglia di organari.
E il 19 Giugno 2013, all’apertura della chiesa, con la visione di tutte le opere d’arte che racchiude, e le sublimi sonate dell’organo, fu una giornata indimenticabile. Sempre in quell’anno, da giugno a ottobre, la chiesa di Peglio aprì le sue porte varie volte, per una serie di concerti organistici, di cui non ne persi uno. Non solo per ascoltare quel meraviglioso strumento adornato da due meravigliose pale laterali riproducenti i due Santi, ma perché era scattata in me un’attrazione fatale per quel luogo.

Compreso il piccolo cimitero posto alle spalle della chiesa, dove, appena varcato il vecchio cancello in ferro battuto, provavo una sensazione rasserenante. Mi piaceva il vialetto ricoperto di ghiaino grezzo, e delimitato da cordoli di pietra ingentiliti da ciuffi di sempreverdi, le lapidi in granito del luogo, scolpite in modo semplice e le tombe ben distanziate tra loro, e non addossate l’una all’altra come in molti cimiteri. Anche i ritratti dei defunti, alcuni dei quali sono raffigurati nelle loro attività agresti -uno con il rastrello in mano, un altro mentre munge una capra o una mucca- allietano questo camposanto, al contrario di altri, che per natura suscitano pensieri mesti. In seguito, ogni volta che andavo a Peglio e mi fermavo sul piazzale della chiesa, facevo un giretto in quel piccolo cimitero, e ogni volta maturava sempre di più l’idea di fissare in quel posto la mia dimora per l’eterno riposo. Però c’era quella grande chiesa davanti che impediva la vista lago…
Fino a quando, in uno di quei giretti nel camposanto, mi accorsi che in fondo al vialetto avevano edificato una piccola struttura, proprio qualche metro oltre il muro della chiesa, e da dove si godeva una magnifica vista del paesaggio lariano. Una struttura molto piccola, una colonnina composta di tre loculi, uno sopra l’altro. Non persi tempo, e dopo avere fotografato quel nuovo manufatto, mi misi a cavallo della moto e mi precipitai alla residenza municipale, una casetta piccolina al pari del paesino.
Varcai la porta in fretta e furia come se stessi per perdere un treno, esibendo la mia fotocamera a una giovane impiegata -l’unica in quel luogo-, la quale mi guardò con lo stesso sguardo di chi si vede apparire dinanzi un pazzo furioso. E forse l’impiegata pensò che lo fossi davvero, quando io, senza un cenno di saluto né di presentazione, le mostrai lo schermino della mia fotocamera dicendo con eccitazione: “E’ ancora libero uno di questi tre posti?”. Lei guardò un attimo lo schermino, cambiò colore di viso, da rosa carne a bianco smorto -giusto in tema- e con fioca voce -sempre in tema- disse: “Aspetti un attimo” e scappò in direzione della porta in fondo al locale, dietro la quale sparì. Per ricomparire pochi attimi dopo, preceduta da un baffuto e opulento signore sulla cinquantina, dalla faccia simpatica, il quale con grande gentilezza mi disse: “Forse oggi la mia impiegata ha la testa tra le nuvole, perché non ha capito bene che cosa desidera lei”.

“Un loculo vista lago!” dissi con impeto. Poi mi presentai, dopodiché gli espressi i miei propositi mostrando pure a lui lo schermino della fotocamera. Il sindaco, così si presentò, non si scompose e chiese all’impiegata di prendere il mappale del cimitero -un grande foglio marroncino piegato in quattro- e una volta apertolo, mettemmo tutti insieme gli occhi sulla mappa, come in una gara alla ricerca del tesoro. Vinsi io, che ormai conoscevo anche i sassolini di quel camposanto. “Qui!” esclamai premendo la punta del dito indice su un rettangolino in un margine del foglio. Poi puntai gli occhi interrogativi su quelli del sindaco, lui fece altrettanto su quelli dell’impiegata, la quale li puntò sul rettangolino e disse: “Sono liberi, perché non ci sono tracciate X”. “Allora ne tracci una!” dissi eccitato all’impiegata, come se fossi io il sindaco. Il quale, sempre seraficamente, mi spiegò che mica si poteva fare le cose così, come al mercato. In primis dovevo compilare un modulo di richiesta, che sarebbe poi stato presentato alla prossima assemblea comunale, perché non essendo io residente in quel paese, ci voleva l’approvazione dei consiglieri. Poi, in caso positivo, sarei stato contattato per andare a firmare il contratto e pagare quanto dovuto.
“Quand’è l’assemblea?” chiesi con ansia. “Alla fine del mese prossimo” rispose il borgomastro.
“Cribbio! Se in questo periodo ve ne muoiono tre che vogliono quei bei loculi…” commentai io.
“Qui il tasso di mortalità è basso” disse il sindaco. Ma poi quel brav’uomo, vedendomi così afflitto aggiunse: “Facciamo così: in via eccezionale metto una X sulla mappa, e poi, se la risposta fosse negativa, la cancello. Quale vorrebbe”?  Misi sconsolatamente il dito a caso su uno dei tre, tanto avevo la sensazione che, non essendo residente, il consiglio non avrebbe dato il consenso. Invece, alla fine del mese successivo, la telefonata dell’impiegata, che con voce esultante mi annunciava di andare a firmare il contratto, fece la mia felicità.

Per l’eterno riposo, avrei avuto una bella dimora vista lago, nella quiete di quel piccolo camposanto, allietato da qualche sonata per organo.
Un amico a cui ho esposto entusiasta tutte le attrattive di questo programma di vita ultraterrena, mi ha detto: “Ma cosa te ne importa della vista lago da defunto? Mica… ”
Gli ho risposto
“Tu che ne sai?”

 

 

 

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