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Tradizioni che non ci sono più: La “Ròstia”

Tradizioni che non ci sono più: La “Ròstia”

di Sergio Scuffi

Quando ero ragazzino, suscitava in me un certo stupore la vista di alcune nostre ragazze e del loro vistoso e “lussuoso” abbigliamento. Erano le giovani che, tornando a trovare i familiari dopo un periodo trascorso nelle città della pianura (per noi erano tutte “Milano”), nelle quali prestavano servizio presso le famiglie, si presentavano con abiti sgargianti, tagliati “alla moda”, senza trascurare tacchi alti, pettinature ricercate e, naturalmente, “ciprie e rossetti”.
Se alcune, dopo aver lavorato in città per un certo numero di anni, tornavano poi a sistemarsi al paese, molte di loro trovavano marito in città.
In questo caso, il momento della cerimonia nuziale era molto atteso da familiari, amici e semplici conoscenti, coinvolgendo di fatto tutto il paese.
Per la verità, l’interesse e la curiosità prendevano tutti per un periodo piuttosto lungo: almeno dalle pubblicazioni di matrimonio (allora declamate dal pulpito durante la messa della domenica) fino al passaggio del corteo nuziale, che si snodava generalmente dalla casa della sposa fino alla chiesa, muovendosi sempre a piedi e con l’accompagnamento non solo degli invitati, ma di tutti i curiosi che facevano alone, per giungere al momento della cerimonia vera e propria, concludendosi finalmente col lauto pranzo, quasi sempre fatto in casa con l’aiuto di tutto il parentado.
Un momento particolarmente atteso era quello della “rostia”: curioso tributo che il marito venuto da fuori (furèsc’t) doveva corrispondere ai giovani del luogo quale “indennizzo” per averli privati della possibilità di sposare la giovane in questione.
Le cose si svolgevano in modo solenne, con la predisposizione di un tavolino sul sagrato della chiesa, la collocazione di un nastro che doveva sbarrare il passaggio fino al pagamento del tributo, dopodiché i numerosi giovani presenti facevano tanti auguri agli sposi, si scostavano e lasciavano libero ingresso agli sposi ed al corteo nuziale. Si dice che qualche gruppo predisponesse perfino una bella bottiglia e dei bicchieri da offrire allo sposo… naturalmente dopo aver ricevuto “soddisfazione”!
Le modalità potevano cambiare di paese in paese, ma sembra che la consuetudine fosse diffusa un po’ in tutta la nostra Valle: lo dimostrerebbe anche la lapide ancora presente presso la cappella del cimitero di Gallivaggio, dalla quale risulta l’esistenza di una vera e propria “Società gioventù rostia, che ricorda gli amici caduti in guerra (1915-18).
L’esito finale, comunque, era sempre lo stesso: una buona mangiata per il gruppo dei coetanei della sposa, grazie al ricavato della “ròstia”.
Risulta che in pochi casi lo sposo venuto da fuori rifiutasse di sottostare alla consuetudine locale; in tal caso sembra siano scoppiate, a volte, delle serie baruffe, a suon di botte…
Oggi, a distanza di pochi decenni, una consuetudine del genere, anche per chi non l’ha dimenticata, farebbe un po’ sorridere: ormai i confini del mondo sono caduti anche per quanto riguarda gli incontri ed i legami fra le persone. Si prendono marito o moglie in ogni dove, in paesi fino a poco tempo fa sconosciuti o ritenuti irraggiungibili… altro che Milano o Como!

 

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