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’Sto Karma…’

’Sto Karma…’

di Giulio Ghirelli

Effettivamente bello non sono; anzi, a dirla giusta sono proprio una schifezza.
E lo dico imparzialmente, poiché, anche se è vero che non mi piacevano i gatti, quando vedevo un bel micio -ad esempio Gelsomino, il peloso gattino di mia sorella Titina- qualche grattino mi veniva voglia di farglielo.
Ma al sottoscritto, chi avrà lo stomaco di fargli un grattino? Manco guardarlo!
Perché mi son visto bene, riflesso sul vetro fumè della lunga station wagon nera.
Io sono qui -manco so perché- seduto sul muretto del piazzale della chiesa dei SS. Eusebio e Vittore in quel di Peglio -un paesino arroccato sulle colline dell’Alto Lario- quando vedo arrivare a passo di funerale la station wagon nera che reca la scritta: Onoranze Funebri Lario.
E quando l’auto si è fermata in fianco a me e ho visto la mia immagine riflessa sul vetro, quasi mi ha preso un coccolone.
Una scarna bestia con le orecchie da pipistrello e il muso smunto, con la schiena ingobbita e il pelo arruffato, di un miscuglio di colori impossibili da definire.
E pensare che nella mia precedente vita ero un bell’omone grande e grosso…
Beh, proprio bello forse no, magari un tipo interessante.
Però da giovane ero bello davvero! Alto e magro, i lineamenti del viso aggraziati e i capelli biondi pettinati con la riga. Una delle mie filarine di allora diceva che l’avevo conquistata perché ero la copia sputata di Alan Ladd, un bellissimo attore degli anni cinquanta.
E quante fanciulle mi ronzavano attorno!
Poi, col passar degli anni, il mio aspetto è mutato, e verso i cinquanta ho cominciato a metter su un po’ di pancia, e ho pure messo su un po’ di barba, per consolarmi dei capelli che mi abbandonavano, e se mi capitava tra le mani una mia vecchia foto in bianco e nero -fotocopia di Alan Ladd- dicevo che non ero io.

’Sto Karma… la reincarnazione… e chi ci avrebbe creduto? Io no di certo!
O almeno non ci credevo fino a tre giorni fa, cioè fino a quando ero un bipede di nome Celio, che si era recato a Milano, era sceso dall’autobus e nell’attraversare di corsa la strada era stato centrato in pieno da una macchina, e… patapumm!
Poi buio completo fin quando, stamattina, mi sono ritrovato seduto sul muretto di questo piazzale in veste di gatto -anzi, di sotto sotto specie di gatto-.
Però ’sto Karma poteva essere un po’ più benigno nei miei confronti, visto che da uomo non ero una schifezza, mentre ora, come felino, mi faccio pena a guardarmi.
Tuttavia, visto che sono ancora cucciolo, potrebbe darsi che crescendo…
Orca! Ma quanta gente c’è dietro al carro funebre! Un corteo che non finisce più…
Ma guarda un po’… tanta gente che conosco!
E in prima fila c’è mia moglie Marilina! Ma cosa ci fa Marilina in prima fila con in testa il velo nero? Vuoi vedere che?…
Intanto aprono il portellone della station wagon, e allora io zompo con salto da felino dentro l’auto; altro zompo sulla bara, dove c’è una corona di fiori sul cui nastro c’è scritto: A Celio, la vedova sconsolata.
Cribbio! Ma allora è il mio funerale!
Uno dei portantini mi scaccia in malo modo, e mi fa precipitare sul selciato.
I gatti ridono? Perché mentre mi lecco una zampa che si è acciaccata nella caduta -non ho ancora imparato a cadere bene come fanno i gatti- mi viene da ridere per via della scritta sul nastro: vedova sconsolata…
Vedova assassina– dovevano scrivere sulla corona!
Poiché è colpa di Marilina se sono trapassato.
Perché se lei non chiedeva il divorzio, io non dovevo recarmi a Milano per firmare i documenti della separazione.
Che poi manco li ho firmati, perchè sono finito prima sotto una macchina.
Io me ne stavo tranquillo nella mia casa sul Lago di Como, dove mi ero trasferito dopo che avevamo deciso di comune accordo di non vivere più insieme. Diciamo per incompatibilità di carattere.
E tutto è filato liscio per un paio di anni. Marilina nella sua casa di Milano e io nella mia sul lago.
Ma stare da soli a una certa età viene la malinconia, e allora, pensa e ripensa, mi viene in mente quel mio vecchio amore di cinquant’anni fa.
A quei tempi ero coniugato con la mia prima moglie Morena, che avevo sposato perché era rimasta incinta. Infatti sei mesi dopo nacque Marica, e cinque anni più tardi arrivò la seconda, Barbie.
Ma quando ci si sposa a vent’anni, non si hanno ancora le idee molto chiare, e poi si sa che a quell’età la carne è debole…
Fatto sta che avevo conosciuto una bellissima ragazza di nome Titta, a cui avevo spudoratamente taciuto la mia situazione famigliare, e avevamo fatto comunella, al punto di scaldare talmente i nostri cuori da diventare, come dicono i francesi, amoureux. Per quattro anni; poi, per colpa di quel viziaccio di certi maschi di correre dietro a tutte le sottane, avevo preso il largo dalla Titta.
Ma chi andava a pensare che dopo cinquant’anni avrei ritrovato quell’antico amore?
Sei mesi fa, senza alcuna speranza, avevo cercato sull’elenco telefonico di Internet nome, cognome e paese della Titta, e… miracolo! Era ancora lì, stesso paese e stessa via.
Avevo passato alcune notti in bianco a pensare e ripensare se fosse il caso di fare quella telefonata, e poi avevo preso il coraggio. Ma sperare di trovarla senza legami famigliari, e ben disposta nei miei confronti, era una pia illusione. Invece…
Ci eravamo dati appuntamento in un paesino del Trentino, dove la Titta trascorre il periodo estivo.
Quel giorno avevo un gran batticuore. Cosa sarebbe successo nel momento dell’incontro?
Dopo mezzo secolo che non ci vedavamo…
Invece fu come se non ci fossimo mai lasciati. Ci abbracciammo e lei disse: “Non avrei mai pensato di rivederti, ma ho passato tutta la vita ad aspettarti”. Io risposi: “Non ti ho mai dimenticata”.
E così ci eravamo ritrovati nella medesima situazione di allora: amoureux.
Lei veniva da me sul lago a passare un paio di week-end al mese, e tutto filava liscio come l’olio.
A quel punto, pensai che fosse corretto scrivere una lettera a Marilina, per metterla a conoscenza della mia nuova situazione. E pareva che lei l’avesse presa con filosofia, al punto da mandarmi un SMS che diceva: Sono contenta per la tua nuova vita, per quella vecchia c’è tempo per decidere.
Anch’io contento di avere ufficializzato la mia nuova situazione, ero partito con la Titta per una crociera nel Mediterraneo, ma qualche giorno dopo il ritorno arrivò la lettera di un avvocato di Milano che mi informava che Marilina voleva il divorzio.
-Nulla da obiettare, ma avrei gradito ricevere una lettera da mia moglie e non da un legale, dato che i nostri rapporti sono rimasti civili- risposi all’avvocato; poi gli dissi che poteva avviare le pratiche.
Io sono certo che Marilina aveva deciso di divorziare per ripicca, perché venni a sapere da comuni amici che lei, dopo essere venuta a conoscenza della mia crociera con la Titta, aveva commentato: “Sono andati in luna di miele…”.
Quindi, una volta predisposti tutti i documenti, venni convocato a Milano per firmarli.
Quel viaggio lo feci per assecondare le volontà della mia consorte, e fu il mio ultimo viaggio.
Ecco perché penso che Marilina, sulla corona avrebbe dovuto firmarsi: Vedova assassina.
Scruto tra le persone del corteo ma non vedo la Titta; possibile che non sia venuta a darmi l’ultimo saluto? Forse ha avuto paura di incontrare Marilina e si è tenuta alla larga.
Ma se non oggi, sicuramente verrà nei prossimi giorni. Figurarsi se non viene, con tutti i je t’aime che ci siamo detti in questi mesi… Però il corteo è così lungo che non riesco a vedere tutti.
Rimetto gli occhi sulla prima fila, dove vedo a fianco di Marilina la mia cara e unica sorella Titina.
Povera! Ha gli occhi che versano lacrime come un torrente in piena.
Dài Titina, sorellina mia, non piangere così, che quando verrà la tua ora, magari ’sto Karma sarà così benevolo da reincarnare pure te in gattina, e così staremo più uniti di prima.
Quanto mi dispiace di essere defunto.
Più che per me, per la mia sorellina. Il bene che mi voleva… Mi diceva sempre: “Ciccino ciccino! sei il mio amato fratellone!”.
Solo per il bene che le volevo -anzi, che le voglio anche da gatto- le permettevo di dirmi ciccino, perché se me l’avesse detto qualcun’altro…
Cercando di evitare di essere calpestato da qualche scarpa, guizzo tra le gambe della gente e vado a strusciarmi sulle caviglie di Titina.
La sorellina cala gli occhi lacrimanti su di me e vedo che si illumina di un mesto sorriso, poi si abbassa, mi dà una carezza e sussurra: “Ciccino, come sei magro e sciupatino”.
Ciccino… sentirà mica odore di parentela… almeno non mi ha detto che sono una schifezza…
Allora emetto un lungo miaooo! che vorrebbe dire: -Titina, sono io, il tuo fratellone!-.
Ma qualche testa volge lo sguardo su di noi con certe occhiate, come per dire:-Siamo a un funerale-.
La Titina realizza che forse non è il momento né il luogo per le nostre smancerie, e allora mi dà un amorevole buffetto per allontanarmi, poi si raddrizza e riprende coi suoi piagnistei.
Io capisco l’antifona ed esco dal corteo, mentre la Titina segue amorevolmente le mie mosse.
Quanto mi dispiace di essere defunto.
Un’altra mazzata per la Titina, come se non ne avesse già avute abbastanza…
E’ ancora in cura, dopo due anni che l’hanno operata per un cancro al seno.
Glieli hanno tolti -il cancro e il seno- ma hanno sbagliato con le terapie e sono due anni che tribola.
E come non bastasse, è in pena per il suo primogenito Kicco -che ha quasi cinquant’anni- il quale, dopo essere stato mollato, una decina d’anni fa, dalla moglie che amava, ed avere ricostruito una famiglia con un’altra compagna, adesso ha rotto pure con questa. E lui l’ha presa malissimo.
E pensare che è un ragazzo d’oro, pieno di buone qualità e un carattere adorabile.
E’ rimasto orfano del padre che era ancora ragazzino, ma la Titina lo ha fatto crescere con tutte le attenzioni e i valori possibili, e gli vuole un bene dell’anima. Non che all’altro suo secondo figlio Andy voglia meno bene, ma Kicco è sempre stato il suo punto di riferimento.
E anche per me era come un figlio. Qualsiasi cosa gli chiedessi, si faceva in quattro per esaudirmi.
Fa un po’ fatica a manifestare i suoi sentimenti, in questo è un po’ bloccato, ma da quando avevo traslocato sul lago, ogni tanto mi mandava dei messaggini nei quali decifravo il suo grande affetto.
Mi scappa un lamentoso miaooo! rivolto a Titina, che vorrebbe dire: -Quanto mi dispiace di essere defunto, sorellina mia, perché vorrei esserti ancora vicino per alleviare un po’ le tue pene-.
Lei sente il mio lamento, mi guarda, mette un dito sulle labbra e fa: “Ssst”.  Siamo a un funerale…
Però, siccome il funerale è il mio, avrei pure il diritto di fare qualche miagolamento, o no?
Con balzo felino torno sul muretto, che è la giusta postazione per vedere meglio le facce del corteo.
E mentre si apre il portone della chiesa, i portantini tirano fuori la bara dalla station wagon.
La bara…
Solo adesso realizzo che mi hanno messo dentro a una bara. Ma che scherzo è questo?
Nelle mie volontà avevo lasciato scritto ben chiaro che volevo essere cremato.
-Nessuna funzione religiosa, e la cassettina delle mie ceneri dritta filata direttamente nel loculo del cimitero di Peglio- avevo lasciato scritto.
Qui c’è lo zampino di Marilina. Sono sicuro che lo ha fatto lei per ripicca.
Certo non mi immaginavo che mi avrebbe fatto questo scherzetto, quando qualche anno fa, essendo attratto dal panorama lacustre che si gode da questo cimitero, mi ero recato al Comune di Peglio per prenotare un bel loculo vista lago.
-Loculi piccoli vista lago non ce ne sono- mi aveva risposto l’impiegata del Comune -se vuole la vista lago deve prendere un loculo grande, di quelli per le bare. Però costa il doppio…-.
-E chissenefrega se costa il doppio, si muore una volta sola- avevo risposto. Però, mentre firmavo il contratto, mi era venuto in mente che, visto che disponevo di tutto quello spazio…
-Senta signorina, dato che ho un loculo grande, è possibile metterne due, di cassettine?-.
-Se è il coniuge, sì- aveva risposto lei.
-Orca, che affare! Ottimizzo la spesa- avevo pensato tra me e me. Certamente Marilina non avrebbe rifiutato la proposta di condividere il loculo, visto che a quei tempi eravamo ancora pappa e ciccia. Tornai a casa e dissi alla mia consorte come avevo predisposto le cose. Ma nel caso non fosse stata d’accordo, potevo sempre far cancellare il suo nome dal contratto.
Mi rispose che era d’accordo.
Ma poi le cose andarono come andarono, e quando il nostro rapporto giunse all’epilogo e io feci le valigie, non mi sembrava proprio il caso di ritrovarci a condividere per l’eternità l’ultima dimora.
Allora presi il contratto di sepoltura e tirai una bella riga sul nome di Marilina. E per sottolineare la  mia volontà, scrissi in fondo al contratto che in quel loculo non ci volevo nessuno.
E mi presi pure la briga di darne una copia alla mia consorte.
Non so come la prese, dato che Marilina avrebbe potuto fare la parte della Sfinge in qualche film su Tutankhamon.
E comunque non la lasciavo senza un tetto sulla testa, dato che la mia consorte ha ereditato dai suoi avi una spaziosa e lussuosa tomba situata sul viale principale del Cimitero Monumentale di Milano. Una dimora da vip…
Intanto è apparso il prevosto sul portone della chiesa, in pompa magna con indosso dei paramenti funebri da fare invidia alle esequie di un papa.
Uno dei due chierichetti che gli stanno a fianco sta facendo ciondolare l’aspersorio dell’incenso con tale foga, che la scena viene invasa da una spessa nebbia odorosa.
Quando ero un umano ero allergico all’odore dell’incenso, e non so che effetto faccia ai miei attuali simili, ma per il sottoscritto -sotto sotto specie di gatto- quella puzza è asfissiante.
E siccome il fumo sale verso l’alto, io penso sia meglio scendere in basso.
Quindi zompo giù dal muretto e mi intrufolo tra i piedi della gente del corteo, e più precisamente tra quelli di Marilina.
E mentre mi si ingrossa il fegato al pensiero che la mia consorte farà sorbire alle mie spoglie una messa funebre con puzza d’incenso, e poi le farà inumare sane sane nel loculo, tiro fuori le unghie e dò una bella zampata su un collo del piede di Marilina, facendole un lugubre miaooo che vorrebbe dire: -Ci hai messo lo zampino tu e adesso ce lo metto io-.
Lei scosta il piede, abbassa la testa e mi guarda.
Molti anni fa ho fatto una crociera nel Mediterraneo insieme a Marilina, e la nave ci ha sbarcati in Egitto. Siamo andati a vedere la piramide di Cheope, dove in fianco c’è la famosa Sfinge.
Non è un caso che mi sia venuta in mente ora, vedendo l’espressione di Marilina dopo la zampata.
I portantini si sono messi la bara sulle spalle, e preceduti dal prevosto entrano in chiesa, seguiti dal corteo dolente.
Dalla mia postazione sul muretto riesco a vederli quasi tutti, i dolenti, e devo dire che di funerali così affollati ne ho visti pochi.
Quanta gente che mi voleva bene!
Guardala lì, c’è pure la mia editor Ile! Che artista! Eravamo pappa e ciccia -cerebralmente-.
Mi pubblicava -su un suo sito- dei raccontini che io scrivevo per diletto. Diceva che i miei racconti la facevano ridere e piangere allo stesso tempo. E modestamente, io penso che se uno scriba riesce a far ciò, vuol dire che è qualcosina di più che uno scribacchino…
E tutti questi amici e parenti che mi stanno sfilando davanti, mi provocano una tale emozione che mi si riempiono gli occhi di lacrime, e va a finire che non vedo più niente.
Porca l’oca, come fanno i gatti ad asciugarsi le lacrime? Gli umani usano i fazzoletti, ma io?…
Provo a strofinarmi gli occhi col dorso di una zampa, ma ho un pelo così spelacchiato che ci metto un po’ a ritrovare la vista. E intanto i dolenti sono già sfilati tutti senza che io sia riuscito a vederli.
Quasi tutti…
Titta! Eccola lì in ultima fila, accompagnata dalla sua amica Nellina.
Salto fulmineamente giù dal muretto e mi fiondo ai loro piedi, con un lungo ed estasiato miaooooo! che vorrebbe dire: -Titta, mon amour! Sono Celio! Speravo tanto di vederti! Non hai avuto timore di Marilina e sei venuta a …-.
Ma non riesco a finire il concetto, poiché la Nellina, che ha la fissa delle malattie, mi guarda con aria allarmata e dice:-’Sto gatt el g’ha l’aria malada, scapèmm via prima ch’el me tàca un quai cos-,
e prendendo sottobraccio la Titta, la tira dentro la chiesa.
Vorrei entrare anch’io, ma sul portone staziona uno dei portantini con una sigaretta in bocca, e mi guarda con aria minacciosa. Mi sembra che sia il medesimo che mi ha dato lo smataflone quando sono zompato sulla bara dentro la station wagon.
Mi consolo pensando che dentro la chiesa ci sarà un puzzo di incenso da asfissiare. Quindi torno a sedermi sul muretto in attesa che finisca la funzione. E va a finire che mi addormento.
Non so quanto tempo ho dormito, perché ’sto Karma mica me l’ha dato un orologio…
E quando riapro gli occhi è quasi buio, e il portone della chiesa è chiuso.
Però sento un sussurrìo di voci provenire dal piccolo cimitero in fianco alla chiesa.
Allora vuol dire che mi stanno sistemando nel loculo. Orca, devo correre a vedere!
Ma il cimitero è così piccolo che la gente è stipata come acciughe.
Cerco di farmi varco tra le scarpe della folla, ma è un’impresa ardua e il rischio di finire calpestato è alto. Ma poi che fretta c’è? Domani, con tutta calma, andrò a vedere la mia residenza, giusto per vedere se Marilina -almeno in questo- ha rispettato il mio desiderio di mettere sulla lapide la mia significante fotografia, quella con la barba rossa, il cappello di paglia e l’aria da artista dannato.
Il commento unanime di chi vedeva quella foto era: copia sputata di Van Gogh, il pittore.
Ritorno sul muretto, che ormai è diventato il mio posto di guardia. E va a finire che mi addormento.

Mi sveglia una fredda brezza che mi sta congelando il pelo spelacchiato.
Sarebbe il caso che andassi a cercarmi uno sgabuzzino dove passare la notte, prima che mi venga una mezza polmonite. Ci mancherebbe solo questa al mio primo giorno da gatto…
E’ inutile che rimanga ancora su questo muretto, tanto ormai devono essere andati via tutti mentre ronfavo, visto che il cancello del cimitero è chiuso e dentro c’è un silenzio tombale.
Incominciano ad accendersi le luci dei lampioni dei paesi intorno al lago, e il paesaggio visto da qua sopra è spettacolare. Tutte quelle lucine mi fanno venire in mente il presepe che faceva la mia mamma quando ero bambino.
Ho fatto proprio bene a scegliere questo posto come ultima dimora. Che spettacolo!
Mi è venuto un languorino allo stomaco; sono digiuno da… boh… probabilmente ’sto Karma non mi ha fatto il pieno prima di mettermi in circolazione, e adesso devo rimediare qualcosa da mettere sotto ai denti. Devo darmi da fare a dar la caccia a qualche animaletto, ma non ho idea di come si fa a scovarli… ’sto Karma mica me lo ha dato il manuale di caccia…
Mi stiracchio un po’, come fanno i gatti dopo aver ronfato -ma lo facevo anche da umano- e poi, mentre mi guardo in giro per decidere cosa fare, odo un rumore di passi che calpestano il ghiaietto del cimitero, e poco dopo sento il cigolìo del vecchio cancello che si apre.
Aguzzo la vista e chi vedo varcare il cancello? La mia sorellina! Con a fianco Marilina.
Non mi meraviglia che Titina sia rimasta sulla tomba tutto ’sto tempo, col bene che mi voleva…
E anche Marilina, a essere sinceri…
Senza por tempo in mezzo, faccio un entusiasta miaooo! che vorrebbe dire: -Sorellina mia!-.
Le due donne sentono la mia voce e si dirigono verso di me. Io zompo veloce giù dal muretto e in quattro balzi sono già lì a strusciare il pelo sulle caviglie di Titina.
Marilina si china su di me, e io sento il pelo rizzarsi, come fanno i gatti quando sono in allerta.
Sto per filarmela, poiché temo che Marilina -nel timore che io dia una graffiata pure a Titina- mi rifili una papagna per allontanarmi.
Invece sento la sua voce monacale che sussurra: -Povero micio, ha l’aspetto di un gattino randagio; conciato com’è non so come riuscirà a scamparsela… quasi quasi me lo porto a casa… ma come se la caverà con la mia gatta?… quella ha un carattere terribile…-.
-Lo prendo io!- strilla Titina, e mi agguanta talmente forte che quasi mi stritola.
-Vero ciccino che vieni a casina con me? Vedrai come starai bene! Lo sai che ho bel gattino che ha tanta voglia di avere un compagno di giochi? Si chiama Gelsomino!-.
Faccio un breve miao che vorrebbe dire: -Certo che lo so-.
-E tu ce non l’hai un nome? Come possiamo chiamarti? Marilina, che nome possiamo dargli?-.
Ma l’interpellata non fa in tempo ad aprir bocca, che la Titina esclama: -Celio!-.
-Celio?…- mormora stupita Marilina.
-Perché no? Visto che lo abbiamo trovato qui dove riposa il mio fratellone, gli diamo il suo nome. Anzi, siccome ho l’impressione che resterà piccino, lo chiamiamo Celino! Piccino, vero che ti piace il nome Celino?- e mi fa un grattino su un orecchio.
Celino… ma dimmi te…
Faccio un festoso miaooo! Ma solo perché è la mia sorellina.

 

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