di Giulio Ghirelli
Si erano fatti portare in camera una bottiglia di champagne e avevano brindato all’improvvisato rendez-vous. Poi, in attesa che Lia uscisse dal bagno, Romeo aveva acceso una sigaretta e si era affacciato alla finestra. Sul lago si stava spandendo una leggera foschia. Anche con quella bruma autunnale che si diffondeva nel paesaggio come un velo, il panorama che offriva la finestra della camera numero 23 dell’Hotel Bellevue, sulla sponda occidentale del lago di Como, era a cinque stelle, come l’hotel.
Quella sottile foschia donava un aspetto di fiaba alle vecchie case di Varenna -sulla sponda opposta- illuminate dal bagliore dei lampioni. E sopra di queste, i crinali delle Grigne cingevano il paese, come per difenderlo, o per imprigionarlo. Indubbiamente una veduta affascinante.
E davanti a quel panorama, prima di eclissarsi in bagno, Lia aveva abbracciato Romeo e gli aveva sussurrato: “Non so se è lo champagne o questo scenario, oppure tu… mais je suis tout en ferment”.
“Ho il pomeriggio libero” gli aveva detto al telefono quella mattina Lia, e Romeo era riuscito a mollare il lavoro per mezza giornata. Si erano dati appuntamento all’Autogrill di Lainate, dove lei aveva lasciato la sua auto e si era imbarcata su quella di lui. Durante il viaggio, lei gli aveva parlato del suo recente week-end a Parigi: i capolavori del Louvre, la passeggiata nelle viuzze di Montmartre, la cena sul bateau-mouche sulla Senna.
Pierre -il collega di origine francese di Lia- era stato un cavaliere impeccabile e un colto cicerone, e le aveva fatto scoprire le grand charme parisien. Imparagonabile a tutte le volte che c’era stata da turista sempliciotta! E anche la garçonnière che Pierre aveva affittato in Rue Dauphine, con un lettone rococò tappezzato di raso rosa, era un bonbon.
Lia e Romeo si erano conosciuti nell’aprile di quell’anno -il ’93- alla Fiera Campionaria di Milano. Lei, quarantasei anni -ma ne dimostrava dieci di meno- era all’ufficio marketing di un’azienda che costruiva macchinari per utensili industriali. Lui, cinquantunenne, aveva un’azienda artigianale che produceva utensileria meccanica. Il numero di cellulare di Lia, Romeo gliel’aveva chiesto motivando i comuni interessi professionali.
Ma il successivo invito a cena in una trattoria sui Navigli, non gliel’aveva fatto solo per parlare di lavoro. Giusto quel tanto per aprire le danze, ma poi i discorsi si erano fatti più confidenziali. E Lia era stata al gioco. Al punto che per decidere come concludere la serata, ci aveva messo meno tempo che a scegliere il dessert. “Mica la finiremo qui, questa bella serata…” l’aveva stuzzicata lui mentre prendevano il caffè. “Tu cosa avresti in mente? Lo scontato epilogo di voi maschietti? Un drink in un piano-bar con il finalino in una camera d’hotel?” aveva risposto spiritosamente lei, senza peli sulla lingua. “A dire il vero, al piano-bar non ci avevo proprio pensato, anche perché il drink potremmo gustarlo in santa pace direttamente in camera” pure lui senza peli sulla lingua. Lia non aveva battuto ciglio. Per qualche istante era rimasta silenziosa a guardarlo -come per valutare- e poi gli si era avvicinata con la testa, e con aria complice aveva sussurrato: “Allora è meglio chiedere il conto, perché sono già le undici…”. Quella sera Romeo avevo avuto il suo bel daffare, perché Lia aveva messo in campo tutte le sue armi -un arsenale- con la foga di un’amante disinibita.
Ma i termini del loro rapporto erano stati chiari sin dall’inizio: entrambi avevano legami famigliari da preservare. Con questa comune ottica, si era creato tra loro un singolare rapporto, al di fuori dei soliti schemi. Più che una relazione tra amanti, la loro era una sorta di amorosa complicità che gli consentiva di discutere e consigliarsi imparzialmente su ogni problema personale. Non come quelle tristi vicende intrise di bugie e gelosie, di cui sono spesso vittime i protagonisti di tormentate relazioni extra-coniugali.
E nemmeno l’amicizia che Lia aveva col trentaquattrenne collega Pierre, era paragonabile alla loro. Intanto perché Pierre -più che con le femmine- andava volentieri a letto con i maschietti, e per Lia era il premuroso cavalier-servente che, non avendo legami famigliari, era disponibile ad appagare tutti i suoi capricci; quelli che il marito di lei, sempre in giro per il mondo per lavoro, non era in grado di soddisfare. E poi -diceva Lia- pur essendo riconoscente a Pierre per la disponibilità e per gli insegnamenti della lingua francese -che lei adorava- non trovava affinità elettive nel collega.
Quelle le aveva trovate in Romeo, col quale si sentiva in completa sintonia, al punto di aprirsi con lui più che con il suo psicanalista, a cui non riusciva a dire ciò che invece diceva a lui, ovverosia: tutto quello che le passava per la mente, senza alcun limite. Per Romeo non aveva segreti.
Giunti a Como, avevano percorso la strada panoramica che porta a Bellagio, facendo una sosta per uno spuntino a Lezzeno, sulla veranda di un ristorante vista lago, sotto un tiepido sole autunnale. Si erano attardati in quel suggestivo posto punzecchiandosi amabilmente -lo sport preferito di Lia- e poi avevano ripreso la strada per Bellagio.
Quattro passi per le viuzze del paese e poi, in attesa del traghetto per Menaggio, un caffè al bar dell’imbarcadero, tra i sorrisi beati dei turisti stranieri che vengono a godersi questo paradiso. Sul traghetto, Lia aveva voluto scendere dall’auto per vedere allontanarsi il pittoresco panorama di Bellagio, riparandosi tra le braccia di Romeo dalla fresca brezza che increspava il lago.
Incantata da quello scenario e coccolata dall’abbraccio dell’amante, a Lia era passato per la mente di dirgli che l’emozione che la coglieva in quel momento, era come quella provata al tramontar del sole sulle acque della Senna, insieme a Pierre.
Non che le esternazioni di Lia, in merito al cavalier-servente, fossero un inno alla gioia per Romeo, anzi, il servizievole collega stava diventando un argomento incombente nei discorsi di lei. Però, Romeo aveva anche valutato che, se non ci fosse stato quel Pierre, il suo rapporto con Lia avrebbe potuto complicarsi. Lui mica poteva permettersi di spendere tutto il suo tempo con lei. E poi, la gelosia doveva rimanere fuori dalla porta della loro relazione. Quello era stato il patto tra di loro. Tutto sommato, doveva essere contento che ci fosse quel cavalier-servente nella vita di Lia.
Sbarcati a Menaggio, avevano preso la strada che passa da Porlezza e costeggiando la sponda ovest del lago di Lugano sale alla Sighignola di Lanzo d’Intelvi, da dove si ammira il golfo sul quale si specchia Lugano. E, guardando dritto all’orizzonte, le lontane cime innevate del Canton Ticino. Lia, emozionata nell’ammirare quel paesaggio, si era abbracciata a Romeo e, a proposito di cime innevate, le era passato per la mente di dire che Pierre era un provetto sciatore e le aveva proposto una vacanza invernale sulle Alpi Francesi. E stringendosi ancor più a Romeo, gli aveva detto che, invece che con Pierre, le sarebbe piaciuto andarci con lui a sciare. Ma che colpa ne aveva lei, se lui era un pantofolaio che non aveva mai calzato un paio di sci…
Erano ritornati sul lago percorrendo la strada panoramica che scende ad Argegno, mentre le calde tinte del tramonto si spalmavano sul lago e sulle dirimpettaie cime delle Grigne. Quella romantica veduta, li aveva fatti sostare qualche minuto su un belvedere, a scambiarsi il primo bacio della giornata, preludio di tutti i prossimi.
Romeo non aveva ancora progettato dove avrebbero dato fuoco alle micce, però gli era venuto in mente quello storico hotel in riva al lago -a pochissima distanza dai giardini di villa Carlotta, e con un panorama che spazia dalla punta di Bellagio fino alle vette delle Alpi Orobie- che aveva niente da invidiare alla garçonnière parigina. Forse troppo stellato -una bella botta per il suo portafoglio-, ma… Parigi val bene una messa…
E crepi l’avarizia, aveva preso una camera con vista lago.
Finalmente Lia era uscita dal bagno, avvolta in una svolazzante vestaglia di seta turchina, che le faceva risaltare la pelle candida e i lucenti capelli biondi. “Un cadeau di Pierre a Parigi” aveva detto con nonchalance.
Si erano appena sistemati sul letto a scaldare i motori per un turbinoso grand-prix, quando a Lia era passato per la mente di dire che lei aveva diversi giri di pista da recuperare, perché l’aria di Parigi, a Pierre, non gli aveva fatto niente bene. Nel lettone rococò, il collega sembrava in catalessi. Ma siccome a lei, l’aria di Parigi aveva fatto invece tutt’altro effetto, aveva avuto il suo bel daffare per resuscitare il compagno di letto e ottenere da lui un minimo di participation.
E mentre strusciava la sua candida pelle su quella di Romeo, Lia aveva preso a riferirgli per filo e per segno toutes les escamotages messi in atto per dare una smossa a Pierre. Ma il minuzioso resoconto delle manovre di Lia sul letto rococò, fecero l’effetto catalessi a Romeo.
Allora lei aveva suonato la carica –allons enfants!– mettendo in campo tutte le sue armi. Ma fu una battaglia persa, e alla fine non le rimase che alzare bandiera bianca.
“Ho una terribile emicrania… mi è già capitato di soffrire di dolorose cefalee a causa dell’umidità lacustre…” fu la laconica giustificazione di Romeo. “Je ne comprend pas pourquoi vous m’avez amené ici, si l’humidité du lac vous fait cet effet” (*) disse Lia ravviandosi con le dita i lucenti capelli biondi, mentre uscivano dalla camera numero 23 dell’Hotel Bellevue.
(*) “Non capisco perché mi hai portato qui se l’umidità del lago ti fa questo effetto”
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