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Ricordi/Vita contadina

Ricordi/Vita contadina

di Adriana Colli

Negli anni 1940 e parte 1950 fu una fortuna il fatto di essere stati contadini pur tenendo conto del gravoso lavoro. I nostri menù erano ripetitivi e rispetto alle stagioni però non mancava di che mangiare.

Avevamo mucche, galline e il maiale, di conseguenza: latte, formaggio, burro, uova (in qualche occasione anche la gallina lessa con un ripieno buonissimo) e gli insaccati del maiale: salami, salsicce, cotechini, mortadelle, pancetta, lardo e strutto. Però non duravano tutto l’anno, e raramente per mangiare carne veniva acquistato del lesso. Ricordo in particolare le mie merende, panino con burro e zucchero, oppure l’uovo sbattuto con aggiunta di zucchero ed alle volte versato su delle fette di pane e fatte rosolare.  Avrei gradito del cioccolato o prosciutto ma non c’era. Alla sera al momento della mungitura spesso andavo dalla mamma alla stalla con una tazza, mi metteva il latte appena munto caldo e con tanta schiuma. Era rigoroso di magro il venerdì, a mezzogiorno con la polenta si mangiava il solito formaggio, poche volte merluzzo, sgombri o fichi secchi.

Si coltivavano: i prati per il fieno e pascolo delle mucche, il campo di patate, il campo di granoturco che ci assicurava la polenta per tutto l’anno, le viti per l’uva e il vino. Lungo i filari di viti si piantavano i fagioli. Era un po’ noioso quando si raccoglievano i fagioli secchi, erano tanti e andavano sgusciati, durante quel lavoro la mamma ci raccontava il film “Piccolo mondo antico” forse l’unico che a quei tempi aveva visto perché ogni anno ripeteva lo stesso. Ricordo che la mamma cantava spesso anche durante i lavori faticosi in campagna, rammento: Quel mazzolin di fiori, Sul ponte di Bassano e Campagnola Bella

Nell’orto vi era ogni tipo di verdura perché generalmente veniva usata per la minestra della sera con aggiunta di pasta a pezzetti o riso e condita con un trito di lardo e prezzemolo. Quando si raccoglieva il granoturco ogni famiglia portava in casa le pannocchie e per sfogliarle ci si riuniva tutti dopo cena ad aiutare, passando di casa in casa, ci volevano tante serate ed ognuna si concludeva con una “padella” di caldarroste, canti, risate e alle volte c’era chi suonava la fisarmonica e i più grandi ballavano.

Avevamo diverse piante di frutta, raccoglievamo: ciliegie, pere, mele, fichi, pesche, noci, uva, more di gelso, nel nostro terreno avevamo anche una sola pianta di castagno, con una padella bucata si facevano le caldarroste sul fuoco del camino ma in poco tempo le castagne erano finite. Terminata la frutta di stagione per l’inverno si conservavano solo le noci e non se ne acquistava altra ad eccezione di quella che trovavamo nei doni di Natale. Si doveva aspettare il mese di maggio per le prime ciliegie.

Quando si faceva vendemmia bisognava fare attenzione a non lasciare cadere acini per terra, e se succedeva il nonno controllava e dovevamo raccoglierli perché diceva che erano i “pincireu” che facevano il vino. Così pure quando aiutavamo a rastrellare il fieno nei prati non dovevamo lasciare nessun filo secco perché era il nutrimento per le mucche. I mirtilli si andavano a raccogliere con i compagni di gioco nel bosco, ne mangiavamo pochi perché preferivamo venderli al fruttivendolo per avere dei soldini che venivano lasciati a noi.

Mi ricordo ancora il negozietto della signora Maria che con 10 lire si compravano n.10 piccole caramelle “Golia” oppure una manciata di magnesia effervescente che metteva in un piccolo involucro di carta : “scartuzzell”. Signora Maria si chiamava pure la levatrice che mi ha fatto nascere, la fruttivendola dove si portavano i mirtilli, quella del negozio di calzature + edicola,  la signora dove si andava a prendere il pane e vari generi alimentari e la signora che aveva il telaio in casa.

Non ci mancava l’indispensabile… ma nulla di più… però eravamo contenti.

Ricordo che periodicamente passavano da casa: un ambulante che vendeva tessuti vari,  l’arrotino per coltelli o forbici, lo stagnino per le pentole, un ometto che vendeva delle rane già pulite e pronte da cucinare, erano infilate in un ramoscello. Una volta all’anno passava un giramondo che si fermava da noi per un piatto di minestra e dormiva nel  nostro fienile, il giorno dopo ripartiva.

Il bello di casa nostra era che a qualunque ora si rientrasse durante il giorno la porta era sempre aperta, essendoci la nonna inferma doveva sempre essere presente qualcuno e poi arrivavano tanti amici e parenti , soprattutto per la nonna perché lei non poteva spostarsi.

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