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Perlanera

Perlanera

di Giulio Ghirelli

Tempo fa, rovistando in un cassetto scovai un oggetto che avevo cercato per tanto tempo, senza mai trovarlo. Al punto  di pensare di averlo perso. E la mia mente ritornò indietro di almeno una ventina d’anni, quando vivevo in quel paradiso in terra di nome La Cala di Marciana, all’Isola d’Elba.

In quel luogo ho vissuto sette anni straordinari, ricchi di esperienze, qualcuna anche drammatica, come la vicenda del mio naufragio. E ho conosciuto persone indimenticabili, come il mio fraterno amico Giovanni -contadino, pescatore e mio maestro di vita- che mi ha tramandato generosamente i fondamenti per vivere in quello sperduto e difficile luogo. E Nilo -il Capitano- un vero lupo di mare, che mi ha imbarcato come mozzo sulla Manola, la sua vecchia bagnarola di otto metri, sulla quale ho trascorso delle fantastiche nottate a pescare -e a sognare- al largo dell’isola. Non essendoci una strada carrabile che arriva fino alla Cala, ci venivano pochissime persone, e tra queste, un sabato di maggio -non ricordo bene di quale anno- arrivò una strana coppia.

In quei giorni ero da solo, perché la mia compagna aveva dovuto andare a Milano per degli impegni. E quel pomeriggio, affacciandomi sulla terrazza di casa, pensai di avere un’allucinazione; perché la visione di una ragazza bruna dai lunghi capelli neri, con addosso solo gli slip, in piedi sullo scoglio della Punta della Madonna -che delimita il lato est della Cala- non poteva essere che un miraggio.
E quando quella sirena, con un magistrale tuffo sparì sott’acqua e non la vidi riemergere, fui certo di avere avuto una visione. E che magnifica visione! Perché anche se dalla mia terrazza c’erano una cinquantina di metri di distanza dallo scoglio, quella splendida creatura l’avevo vista bene!  Negli anni che ho vissuto lì, qualche bellezza mi è capitato di vederla, ma una donna così bella non l’avevo mai vista; ed ero certo che non l’avrei vista più. Perché non poteva essere che un miraggio. Invece la sirena riemerse; ma non potevo credere di vedere la sua testa riaffiorare quasi sotto la mia terrazza, una cinquantina di metri da dove si era tuffata. Non potevo credere che avesse percorso sott’acqua quel tratto di mare! Neppure i cormorani a caccia di pesci stanno immersi così a lungo. Ma la cosa straordinaria, fu che la sirena tornò allo scoglio allo stesso modo! E poi nuotò fino a riva, in un punto non visibile dalla mia terrazza. E con ancora il dubbio di avere le traveggole, scesi alla spiaggia e la vidi, seduta in riva al mare a fianco di un giovanotto vestito di tutto punto.  Per non sembrare indiscreto, finsi di cercare un attrezzo nella mia barca collocata sulla spiaggia, e da lì potei ammirare tutto il fascino di quella sirena, vestita solo con gli slip. Praticamente nuda.

Una bellezza sensuale e primitiva -dello stesso tipo che avevo visto nei ritratti di ragazze tahitiane dipinte nei quadri di Gauguin- con i capelli nerissimi che le coprivano la schiena fino ai fianchi.
Provai un poco di imbarazzo a soffermare così a lungo il mio sguardo su quel corpo, di cui non riuscivo a trovare qualcosa che non mi piacesse; quel corpo che forse non arrivava ai vent’anni. Le gocce d’acqua salina sulla sua pelle bruna luccicavano come perline. Piccole perle su una pelle scura. E pensai che non poteva esserci un nome più appropriato per lei, oltre a quello di: Perlanera.
Il suo compagno era fisicamente l’opposto della ragazza: di carnagione chiara e coi capelli biondi, con il corpo esile e i lineamenti effeminati su un viso imberbe. Vestiva con eleganza una maglietta polo blu, dei pantaloni color panna dalla piega impeccabile e un paio di mocassini di cuoio. L’età era intorno ai trent’anni. Siccome sulla spiaggia c’eravamo solo noi tre, si accorsero presto della mia presenza, e allora il giovanotto fece un cenno di saluto con aria sorridente, mentre la ragazza puntò i suoi occhi scuri -lucenti e selvatici come quelli di una pantera- dritti nei miei, in uno sguardo che mi parve ostile, e che mi mise a disagio.

Pensai che non le facesse piacere la mia presenza, dato che era quasi nuda, quindi tornai lestamente a casa. Per il resto del pomeriggio non andai più alla spiaggia; però ogni tanto spiavo dalla terrazza lo scoglio da cui avevo visto tuffarsi la sirena. Ma quel giorno non la vidi più. Il mattino dopo dovevo andare in barca a fare qualche provvista a Marciana Marina -che essendo località turistica, ha i negozi aperti anche la domenica- e quando giunsi sulla spiaggia trovai ancora il giovanotto e Perlanera in riva al mare, entrambi nello stesso abbigliamento del giorno prima. Lui mi salutò sorridente, invece lei mi guardò silenziosa col medesimo sguardo. Non benevolo, pensai. Quando lui mi vide armeggiare con la barca per metterla in mare, corse verso di me e mi chiese se avessi bisogno di una mano. Non ne avevo bisogno, ma per la simpatia che sprigionava il suo viso, accettai l’aiuto. Poi, saputo che andavo a fare spese in paese, mi chiese se potevo portare pure loro. Gli risposi di sì, e allora il giovanotto disse a Perlanera qualche parola in una lingua stranissima, e lei si avvolse il corpo con un pareo colorato a fiori, e poi ci imbarcammo. E mentre navigavamo verso Marciana, facemmo le presentazioni. Lui mi disse di chiamarsi Dino, che era di Genova e che lavorava con il padre -un importante grossista di vini pregiati- ed era venuto all’Elba per lavoro.

Saputo dell’esistenza di quel solitario luogo da me abitato, aveva preso in affitto per il weekend una casetta a Maciarello -una frazione a mezza costa distante poche centinaia di metri dalla Cala- dove portarvi la sua compagna, che amava le spiagge isolate per potersi tuffare e nuotare in solitudine. Poi mi raccontò che aveva conosciuto la ragazza -di cui mi disse il suo indecifrabile nome, che dimenticai subito dopo- in un recente viaggio su un’isola Polinesiana, dove l’economia principale origina dalla raccolta delle perle; e lì fu ammaliato da quella creatura, che era una delle migliori pescatrici di perle dell’isola. Le famose perle nere della Polinesia, precisò Dino. Rimasi sbalordito! Come se avessi avuto la sfera di cristallo dei maghi, per dare a quella sirena il nome di Perlanera! E adesso mi spiegavo anche la sua straordinaria resistenza sott’acqua.

Dino si era perdutamente innamorato di Perlanera, e aveva dovuto fermarsi sull’isola molto più del previsto, per convincere la ragazza -e il padre di lei- a seguirlo in Italia. E così aveva avuto il tempo di imparare qualche nozione della loro lingua indigena, l’unica conosciuta da Perlanera. Ma Dino si stava convincendo, anche se Perlanera non gliel’aveva ancora manifestato apertamente, che fosse infelice e che rimpiangesse i suoi luoghi nativi. Sbarcammo in porto e facemmo un giro per il paese. Ma mentre Dino camminava in fianco a me, ascoltando i miei discorsi di esperto del luogo, Perlanera, che non poteva capire alcunché di quello che dicevo io, restava in disparte con aria malinconica. E nemmeno era partecipe a quel poco che le traduceva Dino. L’unica cosa a cui era interessata, e dove rivolgeva continuamente lo sguardo, era al di là del porto, dove iniziava il mare aperto. Dino doveva comprare un po’ di viveri per la sera. Catturato dalla sua simpatia, oltre che dalla bellezza della sua selvatica compagna, mi offersi di ospitarli a cena nella mia casa. Lui disse qualcosa alla ragazza, lei annuì, e accettarono l’invito.

“Hai preferenze per qualche cibo?” chiesi. Mi rispose che era vegetariano, e che gli bastava un po’ di insalata e pomodori. Per l’insalata non c’erano problemi, ne avevo di varie qualità nell’orto, ma i miei pomodori dovevano ancora nascere, e quindi ci recammo nel negozio di alimentari sul porto, che aveva tutte le varietà di verdure nostrane. “Anche lei è vegetariana?” chiesi a Dino, indicando con gli occhi Perlanera. “Lei va pazza per il prosciutto crudo” mi rispose lui. Ne ordinai mezzo chilo, di quello toscano, che è più saporito, perché avevo la sensazione che quella selvaggia amasse i sapori forti. Quando lei vide che cosa stavo comprando, mi sorrise. Ed era la prima volta. A mezzogiorno decisi di portarli a pranzo da un mio amico che aveva un ristorante sul porto. Il quale, appena ci vide entrare, fu talmente catturato dalla visione di quella creatura esotica, che quasi non mi salutò. Io ordinai un po’ di polpo in insalata, Dino prese un piatto di verdure miste. Ma il mio amico ristoratore era sprovvisto di prosciutto crudo. “Faccio una corsa a comprarlo” disse. “Non serve” risposi, e presi dalla borsa delle cibarie il pacchetto col prosciutto e lo deposi sulla tavola, rivolgendo lo sguardo a Perlanera. Fu la seconda volta che mi sorrise. Pensai che, pur di trattenere quella splendida indigena alla Cala -ovviamente senza il suo compagno- sarei stato disposto a mettere in piedi un allevamento di maiali… Quel pomeriggio fu uno dei più belli della mia esistenza alla Cala, ammirando, seduto in fianco a Dino, le evoluzioni acquatiche della sirena. E chiedendomi quale affinità ci fosse tra due esseri così diversi. Lei nuda come un pesce dentro il mare, e lui vestito di tutto punto, senza neppure togliersi le scarpe e mettere un piede nell’acqua. “Se vuoi fare il bagno posso prestarti un paio di calzoncini” gli proposi. “Non so nuotare e non posso prendere il sole, perché ho la pelle più delicata di quella di un neonato” mi rispose. “E poi, con una come lei, che figura ci farei in acqua?” aggiunse ridendo. E neppure a me venne il desiderio di fare il bagno. Molto meglio restare sulla spiaggia a guardare i tuffi della sirena!
Alla sera cenammo in allegria, noi due uomini, perché neppure con una quintalata di prosciutto nel piatto, vidi sorridere Perlanera. Però gradì molto il prosciutto toscano, di cui avanzò poche fette. Ma tanto, più che dal suo viso infelice, i miei occhi erano attratti dalle forme del suo corpo, che anche avvolto nel pareo, mostrava le sensuali fattezze. Ed ero attratto -anzi, incuriosito- da quel sacchettino di tela blu che Perlanera teneva legato alla vita con un cordicella dello stesso colore. Verso mezzanotte ci salutammo, con l’auspicio di rivederci ancora. Il mattino dopo, loro sarebbero partiti di buon’ora e non ci saremmo visti. Abbracciai Dino con calore, come fosse un vecchio amico. Non mi riuscì di fare altrettanto con Perlanera, il suo sguardo non mi incoraggiò.
Lei uscì per prima dalla porta di casa, e approfittai di quel momento per togliermi quella curiosità: chiesi a Dino che cosa contenesse il sacchettino che Perlanera portava appeso al fianco. “Contiene le perle che suo padre le ha dato in dote. Quelle nere a goccia, le più preziose” rispose. Andai a dormire convinto che avrei passato tutta la notte a rigirarmi nel letto pensando a quella sirena. Ma forse per merito dei bicchieri di vino che avevo bevuto a cena, fui colto subito dal sonno. Non so che cosa fu a destarmi, a volte si hanno delle percezioni soprannaturali; come quella che mi fece aprire gli occhi e intravedere nella semi-oscurità della stanza altri due occhi -lucenti e selvatici come quelli di una pantera- a poca distanza dai miei. Li conoscevo bene quegli occhi, perché mi erano penetrati fin dentro l’anima. Ed erano a meno di un palmo dai miei. E poi si avvicinarono di più, e sentii le sue labbra posarsi sulle mie, in un bacio casto, ma sufficientemente duraturo per darmi il tempo di avvinghiare Perlanera e cercare di attrarla sopra il mio corpo.
Ma non appena la ragazza sentì le mie braccia avvolgersi intorno ai suoi fianchi, si divincolò con una delicatezza che mi stupì, che non le avrei mai attribuito. E poi vidi la sua ombra dissolversi silenziosamente nel buio della stanza. Ero sbigottito, e nella mente mi turbinavano una miriade di pensieri. Il primo dei quali: il desiderio di salire di corsa fino a Maciarello e cercare con tutte le mie forze di rapire quella creatura.
In quel momento ero certo che avrei avuto anche il coraggio di uccidere il suo compagno, pur di imprigionare la sirena nel suo naturale elemento: il mare della Cala. Un raggio di sole penetrò attraverso la piccola finestra della mia stanza e mi colpì sulle palpebre. Aprii gli occhi e li stropicciai. Non potevo credere che il sonno mi avesse vinto, dopo quello che era accaduto quella notte. Ma poi ragionai diversamente, e mi convinsi che era stato solo un sogno.

Un fantastico sogno.

Rivolsi lo sguardo sul comodino per vedere che ora segnasse il mio orologio. E in quel momento la vidi, posata accanto all’orologio…

Se ora non tenessi tra le dita questa lucente goccia nera, avrei la certezza che ciò che ho raccontato, è uno di quei fantastici sogni che facevo quando mi addormentavo di notte a bordo della Manola.

 

 

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