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Pentolino

Pentolino

di Giulio Ghirelli

Credo che prima di leggere la poesia, sia doveroso che io chiarisca il motivo per cui ho composto questi versi. Ma non si pensi che io abbia la presunzione di credermi poeta o scrittore. Se proprio dovessi darmi un appellativo, direi che sono un contastorie.
Il “Pentolino” mi è stato ispirato da una cara amica, artista poliedrica nell’arte della pittura, la quale, a volte è talmente assorta nel suo lavoro, da dimenticare sul fuoco ciò che cucina.
L‘artista, nel momento in cui avverte odore di bruciato, corre ai fornelli, ma è ormai troppo tardi, e il fondo del pentolino e il suo contenuto sono carbonizzati. E siccome gli artisti sono veramente originali -altrimenti che artisti sarebbero?-, lei lancia i pentolini bruciati nel suo giardino. Ma solo d’inverno, quando il prato ha una coltre di neve dentro la quale i pentolini finiscono sepolti. Credo che lo faccia per nascondere i corpi del reato, e sentirsi cosi meno in colpa. Ma la sua, è un’azione effimera, poiché allo sciogliersi della neve, la cara amica si ritrova a fare i conti con i propri misfatti, a causa di tutti i pentolini bruciati che appaiono sul prato come margheritine in primavera. Così ho cercato di immaginarmi che cosa potrebbe accadere a un passante che si trovasse a transitare sotto una finestra di un edificio, nel caso in cui la cara amica, anziché abitare in una casa con giardino, abitasse ai piani alti di quello stabile, le cui finestre si affacciano sulla strada. E già che c’ero, ho lasciato correre la fantasia fino a immaginare che per merito del pentolino, poteva scapparci qualcosa…

P.S.: Il fondo di uno di questi pentolini, con cui l’amica si stava preparando una bevanda calda con fette di limone, era bruciato in modo talmente “artistico”, che lei lo ha fotografato, e alla prima occasione mi ha mostrato l’immagine. Quella foto mi ha strabiliato, poiché era talmente eccezionale, che avrebbe fatto la sua bella figura accanto alle opere denominate “Combustioni” del celebre artista Alberto Burri.
Così ho chiesto all’amica se mi autorizzava a farne una copia di grande formato, per poi metterla in cornice e appenderla a una delle pareti di casa.
L’amica ha fatto di più, poiché la stampa l’ha fatta realizzare lei, e poi me l’ha regalata con dedica e firma autografa.

 

Passeggiavo con in testa 
il nuovo berrettino blu,
quando s’apre una finestra
e qualcosa vola giù,
e mi atterra sulla testa
un oggetto un po’ pesante.
Che dolore, ahimè meschino!
questo corpo contundente,
che in effetti è un pentolino,
mi ha centrato pienamente
con la forza del destino.
Ma la cosa disastrosa,
è che dentro il pentolino
c’è una roba assai collosa
che ha conciato il berrettino.
Prendo il corpo del reato,
guardo in su da dove è uscito,
salgo e pigio un po’ seccato
il campanello con un dito.
Mi apre subito la porta
una giovane donzella
e mi chiede un po’ curiosa,
con la voce fresca e bella,
se desidero qualcosa.
Io le mostro il pentolino,
e le dico un po’ insolente:
“Se ha pure la pastina,
le concedo l’attenuante
se mi fa una minestrina”.
“Di limoni ne ho a gogò
-dice con la sua vocina-
ma pastina non ne ho”.
Io la guardo da vicino
e qualcosa nasce in me,
perché questo bel tipino
tiene un certo nonsoché.
“Senta, bella damigella,
se mi fa entrare in casa
a ciaccolàr sul canapé,
risolviamo la questione
in buona pace, qui, testé”.
“Mi rincresce gentiluomo,
son ragazza maritata,
se rincasa il maritino,
io finisco accoltellata.
Se si vuole accontentare,
potrei farle un regalino,
e lo faccio con piacere
di donarle il pentolino”
Con la coda tra le gambe,
la donzella ho salutato,
e ho gettato in un cestino
il berretto impiastricciato.

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