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Bipolare (seconda parte)

Bipolare (seconda parte)

di Giulio Ghirelli

Mentre la motonave russa scivolava placida lungo il Volga nel buio della notte, io mi dimenavo come un orso ubriaco sulla pista da ballo del piano-bar insieme con la vietnamita Linh.
Proprio insieme non direi, dato che in quel ballo latino-americano io andavo di qua e di là per i fatti miei, e Linh aveva il suo bel daffare a starmi vicino. E mi era venuto il sospetto che il sorriso della danzatrice dagli stupendi occhi orientali, sotto sotto nascondesse della commiserazione per questa sottospecie di ballerino. E siccome eravamo noi soli sulla pista da ballo, avevo pure il sospetto che gli sguardi degli spettatori che osservavano le mie performance fossero dello stesso genere.
Bene o male finimmo il ballo, e siccome subito dopo attaccò un valzer -perché anche se non sono capace di ballare, i balli li riconosco- e siccome non volevo peggiorare la mia già misera figura, decisi a malincuore di rinunciare ad ammirare ancora gli occhi di Linh e lasciare la pista da ballo.
Ringraziai la ballerina con un inchino e feci per andarmene, ma lei mi allacciò con le braccia con l’intenzione di proseguire. Io le dissi in italiano che non sapevo assolutamente ballare, e lei mi disse qualcosa in inglese che non capii. E intanto il valzer diffondeva le sue melodiose note, nonostante che gli unici due ballerini stessero immobili come statue, senza trovare una maniera per intendersi.
Provai con le poche parole di francese che conoscevo, alle quali -miracolo!- la ballerina rispose, in un francese quasi peggio del mio, che eravamo lì per divertirci, e non a una gara di ballo. Compris? E allora, col sommo piacere di stare abbracciato a quella dama, che pareva ignorare le schiacciate di piedi che le davo, lasciammo la pista da ballo solo quando, verso mezzanotte, cessò la musica.
Durante quei balli ci scambiammo le presentazioni e qualche notizia su di noi, e solo alla fine della serata seppi che Linh viaggiava insieme alla sorella -minore di sei anni-, che senza che io l’avessi notata, era stata tutta la sera accovacciata su una poltroncina a osservarci. Finite le danze, Linh me la presentò, si chiamava Thi, una donna cicciottella, che di simile alla sorella aveva solo i capelli.
Poi, nel salutarci, Linh mi disse che la sera dopo sarebbe venuta ancora lì. “Tu viens?”. “Bien sûr!”. 
Stavo per farmi la doccia, quando sentii bussare alla porta: “Toc toc, sei sveglio?”.
Stavolta dischiusi la porta in mutande, per par-condicio con le sue nudità della sera prima.
“Sei meglio quando sei vestito” commentò signorilmente Lorena, cercando di entrare nella cabina.
“Volevo illustrarti la gita di domani a Goritzy” aggiunse poi, mostrandomi degli opuscoli.
“Mi spiace, ma sono troppo stanco” le risposi sbarrandole il passo.
“Ci credo, con tutto il ballare che hai fatto… Scommetto che non ti sei accorto che sono venuta al piano-bar. A me ieri hai negato un ballo dicendo che non ti piace ballare, e invece con la cinesina… Comunque l’ho capito che non ti piaccio. Del resto, nemmeno tu sei il mio tipo, fisicamente… però sei interessante come amico, anche se sei alquanto bipolare. E ci tengo a informarti che non piaci nemmeno a Rossana. E poi lei ha già una storia con un vigile di Genova. Quindi fai pure la corte a chi ti pare, però vorrei che continuassimo ad essere gli amici di sempre”.
Avrei voluto risponderle che amici è una parola grossa, e che quel sempre erano solo quattro giorni.
E avrei anche voluto chiederle perché la sera prima si era messa mezza nuda, visto il basso indice di gradimento nutrito nei miei confronti. Ma visto come si stavano mettendo le cose, la lasciai entrare, la feci accomodare sul letto, mi sistemai accanto a lei, e come un bravo scolaretto ascoltai per quasi un’ora tutto quello che c’era da sapere su Goritzy. Ascoltai, ma con la mente sulla pista da ballo.
“Toc toc, sei sveglio?”. Fui destato da quella voce e mi venne il terrore che Lorena fosse tornata nel cuore della notte a bussare alla mia cabina. Invece quando aprii gli occhi vidi il chiarore del giorno.
“Che ore sono?” chiesi sollevandomi sul letto, e lasciando la padrona della voce fuori dalla porta.
“Dormiglione! Noi abbiamo già fatto colazione e stiamo sbarcando!”.
“Dieci minuti e scendo!”. Mi diedi solo una sciacquata in faccia e mi vestii di corsa con un unico pensiero: vedere Linh tra il gruppo degli americani. Ma quando sbarcai dalla motonave, c’era solo il nostro gruppo, che mi guardava con aria di rimprovero perché mancavo solo io. Lorena mi venne incontro e mi disse: “Se incontriamo la cinesina, non preoccuparti, le dico che siamo solo amici”.
“Allora, se vuoi che restiamo amici, non chiamarla cinesina, è vietnamita e il suo nome è Linh”.
“Colpito nel segno, mio caro. Sei già cotto!”.
Però sono tuttora grato a Lorena per essermi stata alle costole anche quel giorno a Goritzy, dato che è stata l’artefice di una delle più belle foto di Linh e di me insieme.
Durante le escursioni, ogni gruppo faceva percorsi diversificati, e quindi per poter vedere Linh, mi allontanavo dal mio gruppo alla ricerca di quello degli americani. Rossana stava ordinatamente col nostro gruppo. Così non dicasi di Lorena, che a debita distanza seguiva le mie orme. Mica potevo dirle di non seguirmi, poiché, visto che non mi stava attaccata alle costole, poteva vantare pure lei il diritto di muoversi come le pareva. Finalmente scorgo il gruppo americano, e sto per avvicinarmi a loro, quando vedo il mio scricciolo sbucare dal gruppo e venirmi incontro quasi di corsa, con uno smagliante sorriso -e alla luce del sole scoprii che, oltre agli occhi, aveva pure dei bellissimi denti, bianchissimi e perfetti- e poi mi abbraccia. Aveva gli occhiali da sole -di giorno li metteva sempre- e non potei godere della visione dei suoi stupendi occhi, ma il suo caldo abbraccio mi ricompensò.
Poi allungò il bastoncino su cui era piazzato il telefonino e scattò un selfie di noi due abbracciati.
“Ve ne faccio una io?”. Come un fulmine a ciel sereno, ci trovammo Lorena a pochi metri da noi.
Io cercai di farfugliare qualcosa in francese, per spiegare a Linh che la rompiballe era una qualsiasi del gruppo, che non c’entrava niente con me. Ma, data l’agitazione, non riuscivo a combinare la frase giusta. Mi anticipò Lorena, che dopo aver chiesto a Linh quale era la sua lingua madre, le disse in inglese ciò che avrei voluto dire io. E quel: We are simply traveling companions, lo capii pure io.
Quindi diedi la mia fotocamera a Lorena, e con uno sguardo che significava: Se non le fai bene ti strozzo, le dissi di scattarne anche due o tre. Poi controllai subito sullo schermino e il risultato fu che avrei baciato sulla bocca Lorena, nonostante tutto. Ancora pochi minuti di languidi sorrisi e poi arrivò la voce di Thi, che sollecitava la sorella a raggiungere il loro gruppo, che ormai era lontano. Quel giorno non riuscii più ad avvicinarmi a Linh, ma andava bene così, perché ero ormai convinto che tra di noi stesse nascendo qualcosa. E per la gioia che avevo, nonché per riconoscenza a Lorena per avermi immortalato in una bellissima foto con Linh, lasciai che la psicologa mi tenesse il fiato sul collo per il resto della giornata. E quel giorno le scattai tutte le foto che voleva, oltre a quelle insieme alla sua amica. “Vieni Rossana, che Romeo ci fa una foto!”. Una… e il resto mancia.
“Stasera me le fai vedere?” disse Lorena mentre tornavamo sulla nave. “Sì” risposi soprappensiero, dato che il mio primario pensiero per quella sera era ben altro. Infatti cenai velocemente e salutai il gruppo dei liguri. Ma Lorena: “E le foto quando le guardiamo?”. “Dopo” sempre soprappensiero.
“Salutami la tua fidanzata -disse la psicologa mentre mi accomiatavo- e stai sereno, stasera non ci sono al piano-bar”. Invece venne, e la cosa mi infastidì, e credo che anche Linh non fosse rilassata. Comunque la serata finì in bellezza, anche perché stavo acquistando qualche punto come ballerino. Abbastanza da sentirmi in grado di invitare pure Thi a ballare. E così si replicava il déjà-vu, cioè il cavaliere tra due dame. Ma anche stavolta non avevo ombra di dubbio. La prediletta era Linh.
A fine serata, nel salutarci, diedi uno sguardo nel piano-bar e non vidi Lorena. Finalmente, pensai.
“Toc toc, ci sei?”. Dovevo aspettarmelo, se non mi fossi dimenticato di aver detto soprappensiero un e un dopo. Ma figurarsi se Lorena se li era dimenticati. E non aveva perso tempo, visto che ero ancora vestito. “Cosa fai conciata in questa maniera?” le chiesi, dato che, appena aperta la porta, vidi la dama orrendamente vestita col suo abito lungo e nero, tutto pizzi e merletti.
“Sei proprio un cafone! E poi, che balli con la fidanzata va bene, ma hai fatto ballare anche l’altra cinesina. Allora sono uscita dal piano-bar, sono andata a cambiarmi vestito e sono tornata lì. E mi sono detta: Lo vedrà bene che sono in abito da gran soirée, e mi farà ballare. E invece no, cafone!”.
Sinceramente, non avevo visto tutto quell’andirivieni della psicologa, e tantomeno il suo look nero. Che se l’avessi visto, sarei fuggito dal piano-bar insieme con le cinesine -così chiamate da Lorena-.
Cosa si può dire in questi casi? Ma vai a… “Scusa, ma nella sala buia, come facevo a vederti, tutta vestita di nero come un becchino”. “Cafone!” replicò. E tre… Allora usai l’arma letale, quella che mette ko le donne come Lorena. L’abbracciai dicendole: “Butteremo mica al vento la nostra bella storia…”. Funzionò. E lei, tutta zuccherina: “Allora me le fai vedere le foto?”. “Sono qui apposta, chérie. E sarebbe opportuno che ti togliessi il vestito, poiché non sono provvisto di quattro ceri da mettere agli angoli del letto”. L’ingualcibile stoffa di vecchio bastardo calzava ancora a pennello.
“Bastardo! Tira fuori ’sta fotocamera!”. Non erano certamente modi da signora in gran soirée.
Il giorno seguente la motonave non faceva soste, e mi pareva l’occasione perfetta per stare con Linh sul ponte della nave, dato che lei fotografava di tutto e di più, e sicuramente i suggestivi paesaggi e villaggi lungo le rive del Volga, non se li sarebbe persi di certo.
Quindi, dopo la colazione insieme ai liguri, salutai Lorena e compagnia bella, con una eloquente occhiata alla psicologa, che significava: Non ti voglio tra i piedi. Alla quale lei rispose con una voce squillante: “Se ti serve l’interprete, chiamami!”. A cui seguirono altre mie eloquenti occhiate a lei e a tutta la compagnia bella, per i loro demenziali sorrisini.
Mentre percorrevo il corridoio per uscire sul ponte, sento alle mie spalle una voce: “Romeo?”.
Mi giro e vedo Thi che mi si avvicina, e parlando un po’ di francese e un poco di spagnolo, che pure di quello ci capisco qualcosa, mi dice se possiamo andare a bere un caffè al piano-bar.
-Ossignore! Vuoi vedere che mi tocca un’altra Lorena?- pensai. Ma era mai possibile che una donna facesse un tiro del genere alla sorella? Infatti era di tutt’altro che mi parlò, non appena ci fummo seduti a un tavolino del bar. Non fu un dialogo facile, visto le difficoltà linguistiche, ma per farla breve, il discorso di Thi fu questo: “Tu sai già che mia sorella è vedova da sei anni, e da allora non ha più avuto compagni. Ha sofferto molto per suo marito, morto in un incidente in auto. Ha fatto prendere la laurea al figlio che ora ha la sua posizione. E solo adesso ha ritrovato un po’ di serenità.
Si è messa a fare dei viaggi, vedere il mondo e conoscere gente, ma non è in cerca di avventure”.
Avevo già capito dove voleva arrivare, e le risparmiai l’imbarazzo di aggiungere altro.
Le risposi che per me l’età delle avventure era passata da un pezzo -e lo dissi così convinto, che ci credevo anch’io- e che il mio interesse per Linh non era di quel genere. E mentre le dicevo questo, pensavo che se una donna che mi conosceva a malapena, si era presa il compito di parlarmi così, era probabile che sapesse che Linh provava dei sentimenti per me. E con la felicità nel cuore nel pensare a ciò, le feci un breve resoconto della mia situazione. Innanzitutto che ero libero da legami.
“C’è qualcosa con quella signora che è sempre insieme con te?” chiese Thi.
Mi aspettavo che ci saremmo arrivati, e meno male! Perché era la cosa più importante da mettere in chiaro. Quindi le spiegai che avevo conosciuto Lorena sull’aereo che ci portava a San Pietroburgo, che mi era di aiuto con la sua conoscenza delle lingue, e che, nonostante mi stesse spesso accanto, non era per niente interessata a me, e tantomeno lo ero io, se non come compagni di viaggio.
Una frase che in italiano bastano pochi minuti, ma che in stentata lingua franco-ispanica richiese il suo tempo, come tutti gli altri dialoghi che scambiai con Thi. Infatti si erano fatte quasi le undici, quando l’asiatica mi chiese se potevo aspettarla lì, che sarebbe tornata tra qualche minuto.
Tra le varie ipotesi sul susseguirsi degli eventi, ci avevo messa anche questa. Che fu quella giusta.
Una decina di minuti dopo, riapparve Thi insieme a Linh, la quale, come saluto, mi spalancò il suo sorriso, a cui seguì un abbraccio che quasi mi soffocava. Avevo una gran voglia di baciarla, ma non mi sembrava né il luogo né il momento..
Ci sedemmo di nuovo al tavolino del bar, poi Thi disse qualcosa alla sorella, la quale estrasse dalla sua borsa il portafoglio, da cui prese un cartoncino e me lo porse: era un biglietto da visita sul quale c’era il suo nome e il cognome, a cui seguiva un indirizzo di Los Angeles e un numero telefonico. Io non potei fare altrettanto, non avevo biglietti da visita, e allora scrissi tutto su un foglietto.
Intanto, mi chiedevo quale necessità avesse avuto Linh di coinvolgere la sorella minore in questo delicato ruolo di mediatrice. Forse non osava indagare di persona nella mia vita e nei miei intenti.
Le due sorelle dovevano essersi dette, e aver progettato, parecchie cose, prima di questo convegno, poiché Thi prese ancora la parola chiedendomi: “Conosci la California?”.
Risposi che non ero mai stato in America, era rimasto un vecchio sogno nel cassetto, che la paura di volare, e l’ignoranza della lingua inglese, mi avevano contrastato nel realizzarlo.
“Però hai preso l’aereo per venire in Russia” disse Thi.
Già, avevo preso l’aereo… ma come potevo star lì a spiegare che il coraggio per salire su quel volo, l’avevo avuto dalla sconfitta di un rapporto spezzatosi dopo anni di matrimonio.
Le risposi che c’era una bella differenza tra un breve volo in Russia e uno in California.
“Però il sogno dell’America è sempre vivo” aggiunsi. E adesso lo desideravo come non mai.
“Piacerebbe anche a Linh, che tu venissi a Los Angeles” disse Thi, prima che ci salutassimo.
Linh me la ritrovai davanti poco dopo, appena uscito sul ponte della nave, intenta a fare fotografie.
Il destino, o forse santa Thi, aveva distribuito le sue carte. Ora era tempo di iniziare a giocarle.
Passammo una mezz’ora a goderci i paesaggi del Volga, e io avevo il mio bel daffare a seguire Linh che andava avanti e indietro lungo il ponte della nave a scattare fotografie. E io a scattarle a lei.
Poi finalmente si fermò un momento a prua della nave, a guardare una chiesa sulla riva del fiume.
Allora io mi accostai a lei e decisi di assecondare il desiderio di baciarle le labbra. Ma riuscii solo a sfiorarle, perché Linh si ritrasse subito, e senza dire una parola tornò a sgattaiolare qua e là.
Non so quanto tempo rimasi contro il parapetto del ponte, con gli occhi che annegavano nel Volga, e col desiderio di gettarmici dentro per la delusione che avevo. Infine mi guardai intorno, ma Linh era sparita. Allora lasciai il ponte della nave, raggiunsi la mia cabina e mi sdraiai sul letto. Avevo bisogno di distrarre la mente da quella delusione, e presi il libro che mi ero portato in viaggio.
Ormai lo conosco a memoria, l’ho letto un’infinità di volte. Ma per un appassionato motociclista come me, quel libro è come il vangelo. One man caravan è l’eccezionale viaggio del primo uomo che fece il giro del mondo in motocicletta in solitario. E rileggendo qualche pagina, riuscii a trovare un po’ di rilassatezza, fino al punto di essere colto dal sonno. E sognai di essere sulla Route 66, a cavallo di una grossa moto americana. Mi vidi mentre percorrevo i lunghi rettilinei Californiani, affiancati da vaste praterie. Davanti a me l’interminabile nastro d’asfalto, e sopra la mia testa un incredibile cielo blu, addobbato di ovattate nuvole bianche. E ad osservarmi in questo mio viaggio, gli occhi di Linh che sbucavano da dentro una nuvola. Ma i sogni non muoiono solo all’alba.
Con Linh proseguì come prima, cercandoci durante le gite a terra, e abbracciandoci sulla pista da ballo. Ma non mi venne più il coraggio di provare a baciarla. L’unico bacio che ci scambiammo, avvenne alla fine della crociera. Eravamo gli ultimi a percorrere il corridoio verso lo sbarco. Fu lei, che togliendosi gli occhiali e chiedendolo con gli occhi, si fermò in un angolo.
Un bacio che può devastare l’anima, come quello degli innamorati che il destino sta separando.
Infine Linh parlò: “Viendras-tu in California?”. Le risposi in italiano: “Aspettami”.
Ci tenemmo in contatto coi messaggini, e con la differenza del fuso orario, spesso passavo le notti a tradurre i suoi, e pure i miei, dato che lei lavorava e alla sera non aveva molta voglia di impegnarsi.
Ormai il suo invito a recarmi in California era ricorrente nei suoi messaggi, e poco più di un mese prima di Natale mi invitò a passare le feste a casa sua. Ma io mi facevo un sacco di problemi.
Fino a quando, un paio di settimane prima di Natale, le scrissi che avevo preso la decisione: sarei andato a comprare il biglietto aereo. Mi rispose che aveva appena prenotato un volo per il Vietnam.
Aveva atteso invano una mia risposta, e allora aveva deciso di andare a conoscere il paese nativo.
Poi arrivò il Covid. Le inviai dei messaggi, ma non li apriva. Infine, il suo contatto WhatsApp sparì dal mio telefono. Provai a telefonare, ma non c’era la linea. Non fui determinato a fare le ricerche, rintracciare Thi per sapere che fine avesse fatto sua sorella. Temevo la peggiore, e non la cercai.
Di Linh mi rimangono una quantità di foto. Ce n’è solo una in cui non indossa gli occhiali da sole, e mostra i suoi meravigliosi occhi. E’ abbracciata a me, e la scattò sua sorella la mattina dello sbarco.

Da un’artista ho fatto fare un quadro di quella foto. L’ha fatto alla sua maniera, ma per me, anche in quel singolare dipinto, gli occhi e il sorriso di Linh sono sempre quelli.

 

 

 

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