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La lettera

La lettera

di Giulio Ghirelli
Prima parte di sei

L’incontro

-Non vedo l’ora che finisca questa benedetta Mostra…- brontolò tra sé il cameriere addetto ai tavoli della sala da pranzo dell’Hotel Capo di Stella, nel Golfo di Lacona all’Isola d’Elba.
Non perché non amasse l’arte, tutt’altro. Ma quei cavalletti con sopra i dipinti, sparsi per tutta la sala da pranzo, erano un bell’intralcio per il suo lavoro, e doveva fare certi slalom tipo sciatore, per portare i piatti delle vivande ai commensali.
Perché il direttore dell’hotel, giusto per fare qualcosa di originale, invece di appendere i quadri alle pareti, li aveva piazzati sui cavalletti da pittore, che aveva poi disseminati tra i tavoli della sala.
“Perché così sono più godibili” aveva detto il capo.
E al cameriere era mancato un pelo per non sgambettare qualche cavalletto e farlo finire in terra.
Meno male che era il 28 di settembre, e alla fine del mese la Mostra avrebbe chiuso i battenti, insieme all’hotel, che terminava la stagione nella medesima data.
Poi tutto il personale sarebbe stato mandato a casa fino alla riapertura in primavera.
Però, tra i quadri esposti nella sala da pranzo dell’hotel, ce n’era uno che per il cameriere sarebbe stato un delitto far finire in terra. Si trattava di un dipinto di centimetri 40×40, che riproduceva una grande coppa bassa e larga di vetro smerigliato -di forma a calice simile a quella del Santo Graal- stracolma di rigogliosi mandarini dipinti con tecnica realistica e dai colori sgargianti, al punto che non c’era da essere meravigliati se a qualcuno fosse venuta la tentazione di coglierne uno dalla tela.
La coppa era posata in primo piano -occupando maggior parte del quadro- su una balaustra di pietra dominante su una lingua di mare racchiusa tra due capi. Su uno di questi si vedeva una costruzione che poteva essere letta come i ruderi di un nuraghe o di un faro.
Il cameriere interpretò il dipinto come l’allegoria di un dono offerto alle divinità del mare da Gea, dea della terra nelle civiltà agricole, ma anche del ruolo della donna nel procreare e allevare figli.
La fattura di quel dipinto, il significato che vi aveva letto, e l’emozione che gli derivava, avrebbe potuto, per la prima volta in vita sua, trasformare il cameriere in un ladro.
La firma dell’autore, in basso a destra sul quadro, era Stella. Ma di questo personaggio non c’era traccia nell’hotel. Il cameriere aveva chiesto al direttore notizie su questo pittore di cognome Stella, il quale gli aveva risposto che non era un pittore ma una pittrice di nome Stella, e che aveva spedito il quadro per la mostra collettiva, e che sarebbe venuta a ritirarlo di persona il giorno della chiusura.
E finalmente arrivò il giorno in cui il cameriere fece conoscenza con la pittrice Stella.
Era una signora di aspetto piacente, di età forse una decina d’anni meno dei suoi, con i capelli color del rame e gli occhi bruni. Lo sguardo un po’ trasognato e il dolce sorriso, lo colpirono.
Mentre lei stava impacchettando il quadro, il cameriere si avvicinò e le disse: “Buongiorno signora, io sono un amante dell’arte, ma solo amante, perché col mio stipendio non posso permettermi di comprare le opere artistiche che mi piacciono, infatti non ho un quadro appeso alle pareti di casa. Però, per avere questo dipinto, farei anche un debito”.
“Mi dispiace, ma questo è uno di quei dipinti che non venderò mai. Non so se lei, oltre all’aspetto estetico, vi abbia letto altro, ma per me ha dei significati illimitatamente importanti” rispose lei.
E poi, leggendo la delusione negli occhi del cameriere, aggiunse: “Però, se le capitasse di venire in Sardegna, potrei mostrarle altri miei dipinti, e se ne trova uno che le piace, potrei venderglielo”.
“Lei è Sarda?” le chiese. La donna rispose: “Sì, ho piccolo resort, di quattro camere, in una località all’estremo sud della Sardegna di nome Capo Sparviero. Nella stagione invernale, dato che sono single, passo il tempo dipingendo. E’ la mia ragione di vita”.
“E com’è arrivata fin qui?” chiese lui. Lei rispose: “Un appassionato d’arte che vive qui all’Isola d’Elba, un paio di mesi fa si fermò nel mio resort per qualche giorno, e vedendo i miei dipinti, mi propose di partecipare a una Mostra collettiva qui. Conosce il direttore dell’hotel e ha organizzato tutto lui. Tre settimane fa mi ha telefonato per dirmi se potevo portare un quadro per la Mostra, ma io avevo ancora il resort aperto e così l’ho spedito. Due giorni fa ho concluso la stagione e ieri sono partita per venire a riprendere il quadro. Così ne approfitto per visitare l’Isola d’Elba, che non conosco, e tra due o tre giorni ritorno a casa”.
Al cameriere venne la tentazione di proporle di farle da guida per visitare l’isola, ma gli sembrò una proposta invadente, dato che si conoscevano da appena un quarto d’ora. Quindi archiviò l’idea.
Quando Stella ebbe terminato di impacchettare il quadro, salutò il direttore dell’hotel, e prima di uscire disse al cameriere: “Allora arrivederci in Sardegna!”.
“Mi piacerebbe” le rispose lui. Ben sapendo che tra il dire il fare, c’era giusto di mezzo il mare.
Il cameriere passò metà del mese di ottobre facendo il suo lavoro in un ristorante che apriva solo per il fine settimana, giusto per arrotondare le modeste entrate. E qualche giornata la passava girovagando per l’isola a cavallo della sua motocicletta Triumph Bonneville, che aveva quasi la sua età, ma intramontabile come la passione per le due ruote del suo proprietario.
Di comprarsi un’automobile non gli era mai passato per la testa. E i viaggi, anche in terraferma per qualche giro per vedere il Bel Paese o qualche Mostra d’arte, li aveva sempre fatti in motocicletta.
Però l’invito della pittrice lo incalzava a tal punto, che decise di contattarla per chiederle se quella proposta di recarsi da lei fosse sempre valida. E non solo per vedere i suoi quadri, pensò, dato che lo sguardo e il sorriso di quella donna lo avevano catturato.
Ma come contattarla? Quando si erano salutati, non le aveva chiesto l’indirizzo o il numero di telefono. E l’unico che poteva fornirgli il recapito di Stella, era il direttore dell’hotel, ma era partito a svernare in un’isola dei Caraibi.
Così pensò di scriverle una lettera, sperando che per fargliela arrivare fosse sufficiente quel poco che sapeva. E scrisse sulla busta: Gentile signora Stella – Resort di Capo Spartivento – Sardegna.
La scrisse con la penna a inchiostro -più elegante- e siccome gli sembrava troppo poco scriverle due righe, e dato che aveva la passione della scrittura, nella lettera le raccontò metà della sua vita, di uomo single sopravvissuto a un paio di burrascosi naufragi coniugali, di amante dell’arte e dei viaggi in moto. Dei quali si dilungò narrando avventure e disavventure. Ma vissute ancora con lo spirito di un intramontabile viaggiatore.
E preso da quel benedetto vizio di scrivere, quando arrivò ai saluti, le pagine della lettera erano sei.
-E se Parigi val bene una messa, altrettanto per un viaggio fino in Sardegna per rivedere Stella- si disse con molta speranza nel cuore, imbucando la lettera. La quale, poco più di una settimana dopo, tornò al mittente con sulla busta la scritta: Sconosciuta all’indirizzo.
Così pensò che se non c’erano riuscite le Poste, forse la lettera poteva farla arrivare a destinazione in un altro modo.
-Domani parto per la Sardegna- si disse.

Il viaggio

Il mattino dopo, con uno zaino legato sopra il sellino posteriore della moto e uno sulle spalle, prese il traghetto per Piombino.
Il tempo non prometteva bene: mare mosso e pioggia, e dovette rimanere nella stiva del traghetto stando vicino alla moto, per timore che il forte rollio della nave la facesse finire in terra.
Giunto a Piombino, gli toccò fermarsi al riparo sotto una tettoia, fin quando il temporale smise di rovesciare acqua. Si rimise in viaggio, ma quel giorno, di pioggia ne cadde ancora tanta, e quella settantina di chilometri per arrivare a Grosseto, gli presero il resto della giornata.
Quando trovò un albergo per pernottare, era ora di cena. Lasciò la moto nel posteggio dell’hotel e con i bagagli che gocciolavano acqua, salì nella sua camera.
Gli zaini, che una volta erano impermeabili, ormai cedevano all’usura degli anni, come pure il giaccone da motociclista. Non passava ancora l’acqua, ma dentro era tutto umido.
La prima cosa di cui si preoccupò, fu la lettera. La cercò nello zaino che teneva in spalla, dove l’aveva messa ripiegata in mezzo agli indumenti. Era un po’ umida, come tutta la biancheria.
Aprì i fogli e li fece asciugare con il fon appeso in bagno.
-Domani dovrò mettere la lettera dentro un sacchetto di plastica- si disse, mentre, dopo aver fatto la doccia, si rivestiva e scendeva per mettere qualcosa di caldo nello stomaco.
Il mattino dopo ripartì con un bel sole, che gli diede una sferzata di allegria, e percorse con tutta calma il centinaio di chilometri per giungere a Civitavecchia. Sarebbe potuto arrivarci in poco più di un’ora, invece ce ne mise quasi tre. Non gli piaceva guidare veloce, e la moto era il mezzo ideale per godersi i paesaggi a tutto tondo. E poi non voleva tirare il collo alla vecchia Triumph.
Quel viaggio era troppo importante per rischiare un guasto alla moto.
Riuscì a salire sul traghetto per Olbia alle due del pomeriggio.
Stavolta il mare era liscio come l’olio, la moto non rischiava di cadere dal cavalletto, e lui trascorse le sette ore del viaggio sul ponte della nave godendosi il tiepido sole di fine ottobre.
A Olbia non fu difficile trovare un albergo alla buona, dato che nelle città portuali abbondano, e lì passò la notte.
Il mattino dopo imboccò la strada statale e ci mise un paio d’ore per arrivare a Nuoro. Poi da lì, godendosi i lussureggianti paesaggi montani, in un’ora arrivò a Orani.
Erano anni che desiderava recarsi in quel paese per vedere il Museo dedicato a Costantino Nivola.
Un artista molto più conosciuto in America che non in Italia.
Da Orani, il paese che gli aveva dato i natali nel 1911, l’artista, nel corso degli anni era diventato il direttore artistico della Olivetti, per la quale realizzò le decorazioni del padiglione italiano presso l’Esposizione Universale di Parigi del 1937.
In seguito si trasferì in America, realizzando opere di sculture murali, con la tecnica della colata di cemento su sabbia, per importanti edifici. Stabilì la sua residenza e il proprio cantiere artistico a Long Island, ma tornò spesso in Italia, in particolare in Sardegna, chiamato per importanti incarichi artistici. Morì a Long Island nel 1988.
Sei anni dopo la sua morte, il comune di Orani diede inizio al Museo a lui dedicato, e da allora ha continuato a espandersi, vantando centinaia di opere scultoree e grafiche di questo artista, che ebbe un ruolo unico nel modernismo del XX secolo, eseguendo opere per conto di grandi architetti.
Il cameriere -che non potendo permettersi di collezionare opere d’arte, aveva però una collezione di cataloghi d’arte di vari artisti- quando era venuto in possesso di un catalogo di Nivola, era rimasto talmente affascinato dalle sue opere, che tra uno dei suoi grandi desideri, c’era quello di vederle dal vero. E ora, grazie a questo viaggio per rivedere Stella, poteva realizzare quel sogno.
Il Museo era aperto, ma senza visitatori. Del resto, solo i cultori alle opere di Nivola avrebbero fatto
un viaggio tra i monti deserti del Gennargentu per arrivare fino a quello sperduto paesino.
Ma fu meglio così, perché poté godersi in santa pace e con tutto il tempo che voleva, le opere di Nivola. Ed ebbe in dono un piccolo catalogo, che insieme alla sua lettera, avrebbe portato a Stella.
Nel pomeriggio riprese il viaggio godendo i paesaggi montani, e in meno di un’ora arrivò a Fonni, dove i dipinti murali che riproducevano personaggi nei costumi tradizionali, dipinti sui muri delle abitazioni, affacciati a finte porte e finestre in maniera realistica che parevano veri, lo indussero a posteggiare la moto e fare il giro del paese a piedi per godersi quegli straordinari murales.
Era ormai sera, e sperduto tra quei monti non riuscì a trovare un alloggio. Allora si procurò due panini imbottiti e una birra in un bar del luogo, poi uscì dal paese e decise di trascorrere la notte all’addiaccio in un piccolo spiazzo ai bordi della strada. Come tetto, le fronde di una pianta di acero, e come coperte i due zaini. E con l’altitudine che era sui mille metri, passò la notte insonne, rannicchiato in fianco alla moto col gelo che gli penetrava nelle ossa. Fin quando, alle prime luci del giorno, ripartì.
La strada che saliva e scendeva tortuosamente lungo i monti del Gennargentu, pareva interminabile a causa della stanchezza e delle ossa doloranti, e non riuscì a godersi quegli spettacolari paesaggi.
I centoquaranta chilometri per arrivare fino a Cagliari, gli sembrarono dieci volte di più, e guidando lentamente per la spossatezza, arrivò al capoluogo che era tardo pomeriggio.
Andò subito a cercare un albergo, e dopo averlo trovato, si fiondò nel letto senza neppure darsi una lavata di faccia, tantomeno pensare di mettere qualcosa nello stomaco.
Ma tutta quella stanchezza non gli conciliò il sonno, tutt’altro. Passò una notte tribolata dai pensieri di come sarebbe riuscito a trovare il resort di Stella. Perché se quando era partito aveva pensato che
sarebbe stato facile trovare quel luogo, ora gli pareva di avere sperato inutilmente.
Il mattino dopo, grazie a una lunga doccia calda e una ricca colazione, si era rimesso abbastanza in forma, e anche il morale era risalito.
Ma appena rimessosi a cavallo della moto, l’improvviso temporale che lo investì, non fu di buon auspicio. Ma ormai aveva deciso che non si sarebbe più fermato fino a quando non avesse raggiunto la destinazione del suo viaggio.
Sulla cartina stradale aveva visto che per arrivare a Capo Spartivento doveva viaggiare lungo la costa per una sessantina di chilometri, che in condizioni di bel tempo non ci voleva più di un’ora.
Ma con il temporale, che ora si era trasformato in un’incessante pioggia, ce ne mise quasi quattro.
Si sentiva a pezzi, e l’acqua che gli era penetrata in tutto il corpo, non fece che peggiorare le cose.
Quando finalmente vide il cartello che indicava il nome della località di Capo Spartivento, si sentì come rinato. Si fermò in un bar per chiedere indicazioni per come arrivare al resort.
Ma gli avventori del locale parevano cadere dalle nuvole. Mai sentito un resort di proprietà di una pittrice di nome Stella.
Si rimise a cavallo della moto e proseguì per qualche chilometro fino a un distributore di benzina.
Si fermò a fare rifornimento, e intanto chiese al benzinaio le stesse informazioni chieste al bar.
Ottenne la medesima risposta.
Stava per ripartire con il morale sotto i piedi, quando il benzinaio si affacciò sulla soglia del suo gabbiotto e gli chiese se per caso non stesse cercando Capo Sparviero invece che Spartivento.
Perché in quel momento, al benzinaio era venuto in mente che a Capo Sparviero c’era un resort.
Ecco dove stava l’inghippo! Solo ora realizzava che chissà per quale scherzo della mente, quando Stella gli aveva detto la località, lui aveva guardato sulla cartina, e all’estremo sud dell’isola aveva subito localizzato Capo Spartivento, e quello aveva memorizzato.
Ed era sicuramente a causa dell’indirizzo sbagliato, che la lettera era tornata al mittente.
Se non fosse stato sotto una pioggia battente, sarebbe sceso dalla moto per abbracciare il benzinaio.
E ad alta voce, per vincere il rumore della pioggia, gli chiese come arrivare fin là.
“Prosegui lungo la litoranea per ventisei chilometri e sei arrivato!” gli gridò quel benedetto uomo.
E quando, poco più di un’ora dopo, vide il cartello che indicava il luogo della meta, e subito dopo un altro che indicava la direzione per il resort Stella Marina, si sentì come se stesse per raggiungere il paradiso.

La lettera  II° parte di VI
La lettera III° parte di VI
La lettera IV° parte di VI
La lettera V° parte di VI
La lettera VI° parte di VI

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