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La lettera

La lettera

di Giulio Ghirelli
Seconda parte di sei

L’arrivo

L’ultimo tratto di strada per arrivare al resort era un sentiero stretto e sterrato, e per percorrere quei duecento metri di strada resa fangosa dalla pioggia, rischiò di finire in terra insieme alla moto più di una volta.
Infine, fradicio come se con la motocicletta avesse navigato in mare, posteggiò la Triumph davanti al portoncino d’ingresso. Sul quale, su un piccolo cartello battuto dalla pioggia sferzante, riuscì a leggere: Chiuso.
Senza neppure togliersi il casco, bussò alla porta. Che poco dopo si aprì, e finalmente gli apparve il volto di Stella.
Prima che lui riuscisse ad aprir bocca, lei disse: “Se cerca una camera, mi dispiace ma non posso ospitarla, il resort è chiuso fino a marzo”.
Per l’emozione, la stanchezza e chissà cos’altro, lui riuscì soltanto a dire: “Il cameriere…”.
Ma l’espressione di Stella, gli fece pensare che lei non avesse la minima idea di chi fosse.
Allora lui si tolse il casco, e in quel momento, malgrado avesse la faccia stravolta dalla stanchezza, la barba sfatta e i radi capelli umidi e scomposti, ebbe l’impressione che lei stesse ricomponendo nella memoria la sua immagine.
E mentre l’espressione di lei sembrava colmarsi di meraviglia, lui si tolse lo zaino dalle spalle, lo aprì e cercò la lettera.
Ma quello che trovò, furono dei fogli di carta macerati, e l’inchiostro slavato dall’acqua. Illeggibile.
Si era scordato di procurarsi un sacchetto di plastica per proteggerli dalla pioggia, che era penetrata nello zaino e aveva allagato tutto ciò che conteneva.
Mostrò a Stella quei fogli ormai buoni solo per il macero, dicendo: “Le avevo scritto questa lettera, ma ho sbagliato l’indirizzo e mi è tornata indietro”.
Poi gli venne in mente che quando le aveva parlato all’hotel, non le aveva detto come si chiamava.
Era lì lì per dirglielo, quando lei, prendendogli premurosa una mano, gli disse: “Bren, vieni dentro che sei bagnato fradicio”.
A sentire pronunciare il suo nome, Bren trasalì. “Come fai a conoscere il mio nome?”.
“Perché quando ci conoscemmo all’hotel dove lavori, lo sguardo incantato dei tuoi occhi azzurri nel guardare il mio quadro mi commosse, e allora prima di partire chiesi al direttore dell’hotel qual’era il tuo nome, e lui me lo disse” rispose Stella. Poi aggiunse sorridendo: “Così potevo sapere il nome di chi mi aveva lasciato una bella immagine di sé. Ma non pensavo di vederti arrivare fin qui così presto. E poi sarei curiosa di sapere cos’hai scritto nella lettera, ma ora non è il momento”.
Stella condusse Bren nel soggiorno del resort e poi gli disse: “Sarebbe meglio che ti togliessi i vestiti bagnati e ne mettessi di asciutti…”.
Bren non sapeva che pesci pigliare. Le parole di Stella gli avevano messo desiderio di abbracciarla, e invece restò lì immobile con la faccia da merluzzo appena pescato, senza spiccicare mezza parola.
Ma la cosa si risolse in pochi attimi, dato che lei gli disse: “Pensi di restare ancora per molto con addosso i vestiti bagnati e magari prenderti una polmonite?”.
“Vado a prendere gli altri che sono nello zaino legato sulla sella della moto”. Uscì sotto la pioggia che batteva incessante, prese il bagaglio e ritornò dentro. Ma anche gli indumenti di ricambio erano bagnati come quelli che aveva addosso.
Allora Stella gli disse che avrebbe potuto dargli un accappatoio da bagno e poi avrebbe messo i suoi indumenti nella lavasciuga.
“Per il lavaggio e l’asciugatura ci vogliono quasi quattro ore. Vuol dire che stasera cenerò con un gentleman in vestaglia” disse spiritosamente. E poi: “Adesso ti vado a prendere l’accappatoio e ti accompagno a una delle camere, così ti fai una doccia calda. Poi quando hai finito mi porti tutti i vestiti e li metto nella lavatrice”.
“Sono veramente colpito da questa tua generosa ospitalità” disse lui.
“Anche questo fa parte degli imprevisti del mio lavoro di locandiera” rispose briosamente.
Bren era conquistato dal carattere di Stella, così piacevolmente aperto e disinvolto, che per lui era di grande aiuto, dato che era sempre stato impacciato in certe situazioni.
Nel percorrere il corridoio che portava alle camere, Bren notò che appese alle pareti c’erano diversi quadri. “Li hai dipinti tu?” le chiese. “Sì, poi domani li guardi con calma” rispose lei.
Dopo avergli mostrato la camera, Stella lo salutò dicendogli: “Ci vediamo più tardi”.
Bren si spogliò in fretta, aveva un gran bisogno di sentirsi scorrere addosso dei bei fiotti di acqua calda. Invece dal soffione della doccia non ne scese una goccia, né calda né fredda.
Allora si mise addosso l’accappatoio e tornò da dove era venuto, ma Stella non c’era. Provò a chiamarla, ma non ottenne risposta. Dalla parte opposta del soggiorno c’era una porta. La aprì e si trovò in una saletta da pranzo. Chiamò ancora, ma silenzio assoluto. Sul lato sinistro della saletta c’era un’altra porta. Aprì anche quella e si trovò in un piccolo corridoio. Chiamò forte: “Stella?”.
Da una porta socchiusa gli arrivò la voce di Stella, squillante: “Bren, c’è qualcosa che non va?”.
“Nella doccia non arriva l’acqua!” rispose lui col medesimo tono di voce.
Qualche secondo di silenzio, poi: “Oddio, che sbadata! Mi sono dimenticata di aprire la valvola dei bagni delle camere!”. Ancora attimi di silenzio. Infine: “Bren, entra!”.
Lui aprì la porta ed entrò. Era un bagno, e attraverso i vetri smerigliati della doccia, la sagoma nuda di Stella lo lasciò senza fiato. “Scusa non pensavo…” riuscì a farfugliare.
Poi il rumore dello scroscio dell’acqua s’interruppe.
Bren vide schiudersi la porta della doccia e udì la voce di Stella: “Se ti va, la facciamo insieme…”.
Nel togliersi l’accappatoio, Bren si sentiva come sparato fuori dalla realtà, ed era così sottosopra, che nell’entrare nella doccia gli riuscì di dire scioccamente soltanto: “Permesso?
Fuori si era fatto buio, e le lancette fosforescenti della sveglietta sul comodino di fianco al letto di Stella segnavano le venti e quaranta, quando Bren considerò che doveva prender fiato.
Perché se aveva pensato che fosse lei a dire: “Facciamo una pausa” si era sbagliato.
Erano quasi le diciannove, quando lui era uscito dalla sua doccia ed era entrato in quella di Stella.
Ma l’acqua manco si erano sognati di riaprirla, e quell’angusta cabina era servita unicamente per far prendere confidenza ai loro corpi. Non per molto, perché poi Stella aveva detto: “Non abbiamo più l’età per fare certe ginnastiche nella doccia” e condusse Bren nella sua stanza.
E lui non poté sapere quanto fosse confortevole il letto della camera che Stella gli aveva assegnato.
Però il conforto che trovò in quell’alcova, con i loro corpi allacciati, era qualcosa di incredibile.
Ma adesso le fatiche dei giorni a cavallo della Triumph, oltre alla ginnastica da letto, si facevano sentire. E aveva pure lo stomaco vuoto.
E come se lei gli avesse letto nel pensiero, disse: “Ho un languorino nello stomaco…”.
“A chi lo dici…” si associò lui.
Stella gli chiese se gli andassero bene degli spaghetti al pomodoro. “Oppure potrei tagliare qualche fetta di salame e formaggio e facciamo uno spuntino a letto”.
“Mi spiace farti perder tempo in cucina, va bene lo spuntino”.
Allora Stella accese la luce del comodino, si alzò, si mise l’accappatoio e uscendo dalla camera gli disse: “Torno subito, non ti addormentare”.
-In questa situazione estatica, rischio davvero di addormentarmi- pensò lui, stiracchiandosi beato.
Ma Stella non tornò subito, e lui ebbe il tempo di considerare quanto fossero imprevedibili i giochi del destino. L’aveva conosciuta e aveva scambiato con lei solo due parole nell’hotel dell’Elba, e ora, poco dopo averla rivista, si trovava in questa inimmaginabile situazione, nella quale avrebbe voluto fermare il tempo. E tutto grazie alla lettera con l’indirizzo sbagliato. Perché magari le cose sarebbero potute andare diversamente. Se l’indirizzo sulla busta fosse stato giusto, magari la lettera sarebbe arrivata a destinazione quando Stella era chissà dove per qualche Mostra, e chissà quando l’avrebbe letta e gli avrebbe risposto. E intanto il tempo sarebbe passato.
E quante cose possono cambiare quando passa il tempo… Basta un attimo per sparigliare le carte.
“Non ho perso troppo tempo per fare due spaghetti!”.
La voce allegra di Stella, che arrivava con un grande vassoio, lo tirò fuori dai suoi pensieri.
“Sei una donna imprevedibile!” esclamò Bren, assaporando il profumo del sugo di pomodoro che si spandeva nella camera. Due bicchieri di Cannonau facevano pendant con i piatti degli spaghetti.
E mentre cenavano col vassoio in mezzo al letto, Stella disse: “Penso che il tuo nome non sia quello di battesimo…”.
“E’ una storia lunga… se non ti viene voglia di dormire, dopo gli spaghetti te la racconto”.
“Perché dovrei aver voglia di dormire!” esclamò Stella.
Così, finiti gli spaghetti, Bren iniziò.
“Il lavoro di mio padre era quello di addetto al bar su uno dei traghetti che fanno la spola dal porto di Piombino a quello di Portoferraio. Aveva quasi quarant’anni ed era ancora scapolo quando al bar
del traghetto servì un caffè a una ragazza che andava all’Elba con un gruppo di suoi conterranei venuti in pullman dall’Irlanda. Lei era molto bella, coi capelli rossi e gli occhi azzurri. Parlava un poco di italiano, e mio padre, col lavoro che faceva, qualche parola d’inglese la sapeva. Così lui le attaccò bottone decantando le bellezze dell’isola, e lei gli diede corda fin quando furono arrivati a Portoferraio. E lì si salutarono. Ma i giochi del destino… Perché una settimana dopo si rividero nel viaggio di ritorno. Sempre su quel traghetto, e lei ancora al bar per un caffè. E lì scattò la scintilla. Quando si salutarono, lui aveva in tasca un biglietto con scritto il suo nome, Niamh, che in lingua celtica significa lucente, e l’indirizzo di un negozio di fiori a Dublino. Mio padre dovette aspettare la fine della stagione turistica, ma appena ebbe le ferie partì per l’Irlanda e la ritrovò. E l’amore fece il resto. Fin quando mio padre dovette rientrare. Ma non prima di averle chiesto di seguirlo e di sposarlo. Lei gli rispose che lo avrebbe sposato, ma che non si sentiva di chiudere il negozio di fiori e lasciare il suo paese. Mio padre disse a Niamh di aspettarlo, tornò all’Elba e parlò con i suoi anziani genitori, coi quali viveva. Loro non presero bene la notizia che l’unico figlio li abbandonava al loro destino. Poi sistemò tutte le faccende e ripartì. Andò a vivere con Niamh e poi si sposarono. Il negozio di fiori andava bene, e da allora il mestiere di mio padre fu quello del fioraio. Negli anni seguenti, lui mandò tutti i mesi i soldi ai suoi genitori, e tornò all’Elba solo due volte per seppellirli. Quando nacqui io, il desiderio di mia madre era di chiamarmi con quel particolare nome, e così fui
battezzato Brendan. E’ il nome del personaggio di una leggenda irlandese che era rimasta scolpita nella mente di mia madre. Ma poi tutti presero a chiamarmi Bren. Quando fui grandicello, mia madre mi raccontò la leggenda da cui trasse il mio nome. Se vuoi, te la racconto, o sei stanca?”.
“Non sono affatto stanca, ma se lo sei tu…”.
“Se mi offri un altro bicchiere di Cannonau che ho la gola secca, poi ti racconto”.
Bevuto il vino e sparecchiato il letto, si misero distesi e rilassati, e Bren riprese a parlare.
“San Brendan di Clonfert, detto anche Brendan il Navigatore, nacque alla fine del V secolo nella Contea del Kerry e fu uno dei padri del Monachesimo Irlandese. Secondo la leggenda, partì insieme a sessanta monaci ed evangelizzò Irlanda e Scozia, fondando diversi monasteri. Si narra di certe sue peregrinazioni che lo portarono a navigare e toccare terre che avevano qualcosa di straordinario, come pecore giganti, angeli caduti divenuti candidi uccelli, monaci silenziosi che comunicavano con la telepatia, palazzi vuoti con tavole magicamente imbandite. E ancora: mari trasparenti, una colonna di cristallo altissima, avvolta in una rete argentea che si erge dalle acque, diabolici grifoni. Persino un’inquietante isola vulcanica che segna il confine dell’Inferno. L’episodio più conosciuto della leggenda, è quello in cui il Santo incontra un immenso mostro marino di nome Jasconius, che Brendan, avendolo preso per un’isola, vi fa scendere i suoi monaci. E apprestandosi a celebrare la messa di Pasqua, accende un fuoco. Improvvisamente il suolo comincia a tremare -l’animale si è svegliato- e Brendan e i suoi monaci si precipitano sulla nave prendendo il largo. Poi, dopo avere incontrato il Paradiso degli Uccelli, raggiungono l’isola degli Uomini Forti e l’eremita Paolo. Infine i monaci arrivano all’Isola dei Beati, visitano l’Eden e poi ritornano in patria. La leggenda ha pure una versione che dice che San Brendan avrebbe raggiunto le Isole Fær Øer e l’Islanda, che in effetti furono poi popolate da monaci irlandesi, e addirittura raggiunsero l’America, o più precisamente la Groenlandia. Pare che abbia scoperto le Isole Canarie, dove è venerato col nome di San Borondòn. Questa leggenda affascinò a tal punto mia madre, da volermi dare il nome del Santo”.
Nella stanza regnava il buio, e il silenzio era rotto dal veemente scrosciare della pioggia che batteva

 


sui vetri della finestra.
Stella aveva il profondo respiro di chi dorme, e Bren non aggiunse altro per timore di svegliarla.
La leggenda del Santo, ora lo conduceva ai ricordi della sua giovinezza, di quando sua madre gli narrava storie di naviganti, da cui lei era ammaliata, e che avevano lasciato in lui tracce indelebili.
Era cresciuto con due genitori che si amavano come di più non è possibile, e lui era il frutto del loro amore. Un frutto che custodivano con tutta la cura che si ha per un prezioso bene.
Era stato felice in quella piccola casa sopra il negozio, e tra quei fiori che per sua madre erano ben altro che non un commercio. Era come se lei fosse nata da un fiore, forse un girasole, poiché quella era la sua specie preferita. Nel negozio c’era una gran quantità di quei fiori, e pareva che lei volasse gioiosamente in mezzo a loro come una farfalla in primavera. Fino a quando…
“Dormi?” udì sussurrare. E poi sentì la mano di Stella accarezzargli una guancia.
“Credevo che fossi tu a dormire” le rispose premendo una mano su quella di lei, in modo che Stella non potesse toglierla dal suo viso.
“No, ero assorta a pensare a certe leggende che il tuo racconto mi ha fatto tornare in mente. Sulla storia di quest’isola ce ne sono diverse, e anch’io, come tua madre, sono sempre stata affascinata da certe leggende”.
“Allora, visto che mi sembra che anche tu vuoi restare sveglia, potresti raccontarmene qualcuna”.
Stella restò silenziosa qualche secondo, come se stesse vagando tra le pagine della memoria, e poi: “Mia madre morì nel mettermi al mondo, e io fui cresciuta da mio padre. Lui era un pescatore di coralli, e quando usciva con la barca, mi affidava a una sua sorella nubile, la quale mi accudì come la miglior madre. Ma già dall’età di sei o sette anni, a volte mi portava sulla barca con lui, e durante quelle piccole navigazioni mi raccontava molte leggende di quest’isola, di cui era innamorato e che diceva che era la madre del continente. La storia che mi raccontò più volte, come se io dovessi tenerla impressa per sempre nella mente, era quella delle origini dell’isola, che i naviganti greci avevano chiamato ‘Ichnusa’, vale a dire ‘Impronta’, poiché la sua forma ricorda l’orma di un piede. La leggenda che mi raccontava sempre, diceva che un tempo esisteva un unico grande continente lussureggiante e prospero, in cui l’umanità viveva felice e spensierata. Ma per un ignoto motivo, un giorno Dio si infuriò, i mari si agitarono e l’oceano iniziò a sommergere e devastare il meraviglioso continente. Quando Dio si rese conto del danno che stava causando a ciò che aveva creato, placò la sua ira e salvò una piccola porzione di terra ancora non sommersa posandovi sopra il suo piede, e dando così all’isola la forma di un’impronta, salvando ciò che era rimasto della bellezza dell’antico continente. Un’altra leggenda che mi raccontò, riguarda la Sella del Diavolo, che è un promontorio
che separa il lungomare di Cagliari dalla spiaggia di Calamosca, e narra che degli angeli avessero chiesto a Dio una terra incontaminata in cui vivere, e lui disse di cercare la terra che desideravano. Dopo aver vagato a lungo, gli angeli posarono gli occhi sulla Sardegna, e quella fu la terra in cui andarono ad abitare. Quella cosa scatenò l’ira di Lucifero, il quale, invidioso, tentò di impossessarsi dell’isola. Scoppiò una battaglia che si combatté nei cieli del golfo di Cagliari e si concluse con la sconfitta di Lucifero, che dopo essere stato disarcionato dal suo cavallo, perse la sella, che cadde al suolo calcificandosi nel promontorio, e che diede origine al nome del luogo: Sella del Diavolo. Bren, potrei raccontarti altre storie, ma credo che tu abbia la testa già satura, e forse hai voglia di dormire…”.
“Stella, questa è la più bella notte della mia vita, e non ne voglio sprecare nemmeno un solo istante dormendo. Sono certo che non mi capiterà mai più di essere dentro un sogno come questo. E ti sarò per sempre grato per quello che mi stai facendo vivere”.
Dopo aver detto queste parole, Bren posò il viso sul seno di Stella, e sentì il suo cuore battere forte come la pioggia incessante che batteva contro i vetri.
E gli venne un gran desiderio di fare ancora l’amore.
Ma non era solo lui a desiderarlo, e così i loro cuori tornarono a scambiarsi i battiti.
Infine, sfiniti, si addormentarono allacciati l’uno all’altra, come se temessero di perdersi.
Mentre la pioggia ora scendeva leggera a conciliare il sonno degli amanti.

La lettera  I° parte di VI
La lettera III° parte di VI
La lettera IV° parte di VI
La lettera V° parte di VI
La lettera VI° parte di VI

 

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