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La légna

La légna

di Sergio Scuffi

La presenza di boschi ha sempre costituito una risorsa irrinunciabile per l’economia dei tempi passati. A parte l’utilizzazione per realizzare semplici mobili, attrezzi di lavoro, strutture per l’edilizia (dai pavimenti, alla copertura dei tetti), ciascuna famiglia si procurava notevoli scorte di legna da ardere, con il duplice scopo di provvedere al riscaldamento degli ambienti e di cuocere i cibi, operazione che avveniva esclusivamente sul fuoco, utilizzando rustici focolari (figul e, spesso senza canna fumaria, specialmente nelle cascine di montagna), oppure sulla cucina economica, la stufa che non mancava in nessuna abitazione e che, nei tempi, si era evoluta al punto da consentire, contemporaneamente alla preparazione dei cibi, di riscaldare dell’acqua nell’apposita “vasca” infilata lateralmente in un foro, di asciugare i panni appesi attorno al tubo di scarico (canóon), oppure di riscaldare vivande entro un piccolo forno adiacente alla camera di combustione (qualche volta vi si infilavano anche i piedi semicongelati a causa delle lunghe ore trascorse all’aperto, con scarpe non sempre idonee: a volte semplici zoccoli).

Il taglio dei boschi avveniva sempre d’inverno, per non arrecare danni alle piante. Si trattava di boschi cedui da cui si ricavava legna di castagno, betulla, acero, tiglio, qualche noce o ciliegio selvatico, robinie, ontani, salici. Periodicamente, si procedeva anche al taglio di faggi, presenti più in alto, verso i maggenghi, ed il cui trasporto a valle risultava molto più impegnativo. Abbattute (esclusivamente a colpi di scure, compito riservato agli uomini più abili ed esperti) le piante che si erano prescelte, si doveva procedere a ripulirle dalle ramaglie ed a sezionarle in tronchi di lunghezza adeguata (circa un metro), spaccando con dei cunei quelli troppo grossi e pesanti.

Si proseguiva trasportando ed accatastando tutta la legna in un punto prestabilito, comprese le fascine che, nel frattempo, donne e bambini avevano provveduto a legare per bene, raccogliendo tutte le ramaglie.

L’operazione più impegnativa, per molti versi pericolosa, e che comunque richiedeva molta fatica e la presenza di persone esperte, era quella della predisposizione del filo a sbalzo (fíil), robusto cavo in acciaio che doveva essere teso fra la catasta di legna ed il fondovalle, per farvi scivolare i carichi di legna. Si presceglieva un punto di arrivo (baštióon) che fosse raggiungibile dai mezzi di trasporto su ruota (ai tempi solo i carri), vi si piantavano profondamente due robuste colonne di legno e, con un apposito verricello (cürlu) azionato da grosse leve (livéra) si tendeva gradualmente il cavo.

L’operazione era molto rischiosa per l’enorme tensione raggiunta dal cavo e la possibilità di venirne travolti, con gravi conseguenze, se si fosse verificato un minimo inconveniente o disattenzione: ragione per cui i bambini venivano rigorosamente e bruscamente allontanati.

Conclusi questi preparativi, si poteva finalmente procedere a far scendere la legna, legata in grossi mazzi con dei cavetti metallici (cubi tt). Questi carichi venivano confezionati sopra un rustico piano di appoggio (bancáal), all’altezza del filo sul quale venivano appesi con dei ganci ricavati da pezzetti della legna stessa, nei quali si incideva una tacca (capíin de legn). Per lubrificare il cavo e favorire la discesa della legna, si appallottolava davanti ai mazzi della sugna (són ia, grasso di maiale).
Al punto di arrivo (baštióon) una persona si occupava di staccare di volta in volta i carichi, accatastando la legna nei pressi e facendo bene attenzione a tenersi a distanza di sicurezza per evitare di essere colpita dai pezzi di legna che, data la fortissima velocità, spesso dopo l’urto schizzavano da tutte le parti.
In seguito si procedeva al trasporto della legna presso le abitazioni, dove poi sarebbe stata tagliata alla giusta lunghezza, spaccata ed accatastata nella legnaia per tutti gli usi previsti.

 

Immagini estrapolate dal libro

n cuštümáva

su gentile concessione dell’autore

 

 

 

 

IDEVV – ISTITUTO DI DIALETTOLOGIA E DI ETNOGRAFIA VALTELLINESE E VALCHIAVENNASCA

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