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La lacrima di Cosetta

La lacrima di Cosetta

di Norma Giumelli

Voleva vederlo lei stessa con i suoi occhi, questa volta. Non era di indole troppo curiosa, non lo era mai stata, ma ora che il momento era giunto, ora che aveva sentito degli inequivocabili rumori provenire dal cortile, Cosetta era risoluta a vedere il suo volto. Erano quattro mattine che il nonno si alzava all’alba e, dopo aver provveduto al pasto mattutino dei suoi adorati animali, rientrava in casa immerso in un brontolio continuo. Nel pollaio non si trovavano più uova. In principio aveva pensato ad una momentanea crisi delle galline, cosa che, in natura, poteva accadere, ma il quarto giorno aveva trovato, fuori dalla porticina del pollaio, un uovo rotto, caduto a qualcuno per la troppa fretta di andarsene, la notte precedente, probabilmente. Oh! Se solo non avesse avuto il sonno tanto pesante! Se lo rimproverava spesso.
Così, Cosetta, quella notte, sveglia ed eccitata, era saltata giù dal letto; non aveva messo neppure le sue belle pantofoline azzurre. Aveva aperto la porta-finestra della sua stanza ed era uscita in terrazzo. Si era seduta facendo passare le gambe tra i metodici spazi della ringhiera, lasciando penzolare i piedini, completamente nudi ed incapaci di stare fermi per la scoperta che lei stava per fare.
Riusciva a vedere qualcosa, no! qualcuno, nel pollaio, carponi sul nudo terriccio e con metà corpo, quello anteriore, ficcato dentro la “camera da letto” delle galline.
Lei le aveva viste, e galline apprestarsi a dormire, più di una volta aveva aiutato il nonno a farle entrare là dentro, per poi richiudere bene la porticina e proteggerle così dagli animali notturni affamati. Aveva dato un’occhiata, pochi minuti più tardi, assumendo la stessa posizione che ora stava spiando nel ladro di uova, e loro se ne stavano, per la maggior parte, appollaiate su dei pezzi di legno che andavano a formare una rastrelliera.
Cosetta aspettava lì, senza distogliere mai gli occhi da quelle gambe e da quei piedi che si dimenavano lasciando indovinare ciò che faceva il resto del corpo … ed eccolo rialzarsi con il bottino tra le mani; la bambina non riusciva a vedere bene, nella semi oscurità, quante uova fosse riuscito a prendere; riusciva però a vedere la corporatura di un bambino e più lui si avvicinava al terrazzo, ignaro di essere osservato, risaltavano anche i suoi capelli rossicci, quasi come i suoi. Più il ragazzo si avvicinava e più la luce del lampione poco distante riusciva a delinearne, seppur in modo ancora incerto, il volto. Anche le galline, ora, avevano smesso di lamentarsi per l’intrusione, inaspettata o meno. Il ladro di uova si trovava ormai sotto il terrazzo quando, per la distrazione nello sporgersi meglio, a Cosetta scivolò dalle mani il peluche; lo stesso finì davanti ai piedi del ragazzo che, per lo spavento, fece cadere due uova in terra. Alzò lo sguardo verso il terrazzo e, un po’ imbarazzato, raccolse l’orsacchiotto da terra. Cosetta stava ancora con il braccio allungato che sporgeva dalla ringhiera nell’ormai inutile tentativo di non lasciare cadere il suo peluche; il ragazzino mise al sicuro le uova che si erano salvate, dentro il marsupio e l’orsacchiotto dentro la camicia. Si avvicinò al condotto che scaricava l’acqua piovana in terra e cominciò a scalarlo; giunto all’altezza di Cosetta, con un bel sorriso, le restituì l’orsacchiotto. I grandi occhi verdi della piccola risposero a quel sorriso poi, mentre il ragazzino con un sol balzo era già in terra, lei si alzò e se ne tornò in camera da letto.
Quando, il mattino seguente, il nonno rientrò accompagnato dal solito brontolio, a Cosetta venne proprio da sorridere e l’uomo, trovandosela davanti così solare e con quell’aria furbetta negli occhi, si fermò, la osservò per qualche secondo, poi si arrese, sorridendo di rimando.
“Devo proprio sembrarti buffo, delle volte, piccola mia”, le sussurrò.
Cosetta aveva nove anni e viveva con il nonno da due. Era figlia unica, amata e coccolata, specialmente dalla madre e dal nonno, appunto. Sua madre era casalinga, amava la musica e amava l’arpa. Cosetta aveva ereditato da lei questa grande passione. Quando suonava la sua arpa, sua madre cantava delle canzoni dolcissime seduta al suo sgabello, con la figlia al suo fianco. Le aveva insegnato a suonare l’arpa e la piccola lo faceva con lo stesso amore della madre.
Un giorno di mezza estate se ne stavano entrambe immerse nel loro magico mondo. Sembrava un giorno iniziato come tanti altri, con gli usignoli che avevano salutato il sole appena sveglio e con l’aria ancora tiepida che entrava dalla finestra della stanza. Sua madre stava eseguendo una composizione che aveva scritto proprio per lei e Cosetta ascoltava estasiata l’armoniosa voce di sua madre che le cantava una canzone nuova, tutta per lei.
Ad un tratto, però, qualcosa si ruppe; Cosetta pensò ad una corda dell’arpa; invece a rompersi era stata la voce di sua madre, chinando improvvisamente il capo verso di lei con gesto innaturale, si era portata una mano sul cuore. Cadde dallo sgabello e rimase ferma, distesa sul freddo pavimento. Cosetta le si avvicinò stravolta, le sollevò la testa e vide che sulla guancia di sua madre scendeva una lacrima, una sola, ed andava a posarsi, leggera e delicata, in terra, portando invece con sé tutto il peso del mondo mentre le spezzava il cuore. Gridò. Gridò talmente forte da temere che il soffitto le crollasse addosso; ma la sua voce straziante non ce l’aveva fatta ad uscire dalla gola, dalle labbra e dalla testa …
Il nonno se ne stava al piano inferiore e stava fumando il suo sigaro, ascoltando incantato le note di quella melodia e la voce di sua figlia, che lo raggiungevano. Era venuto per parlarle, ma ormai non se lo ricordava più. Fumava ed ascoltava. Il suo dolce trastullarsi venne interrotto bruscamente da un grido disperato; era stato un grido lacerante che aveva squarciato le mura della casa, lui lo aveva udito; poi il tonfo sordo, quasi sopra la sua testa.
La musica era finita e lui si precipitava su per le scale; quando spalancò la porta, vide Cosetta china su sua madre che le reggeva il capo e se lo portava al petto. Entrò nella stanza, prese tremante le manine di sua nipote nelle sue, poi le lasciò ed accarezzò dolcemente sua figlia; la sollevò e la posò delicatamente sul letto. Tornò da Cosetta, sollevò anche lei da terra per avvolgerla in un tremante abbraccio; non la lasciò nemmeno per telefonare ai soccorsi e alle altre figlie, le quali si precipitarono da lui in men che non si dica; lo trovarono così, seduto sul letto, con una mano nella mano della figlia e con Cosetta tra le braccia. Non piangeva, Cosetta, ma i suoi occhi verdi ora sembravano immensi, in quel faccino rotondo; erano invasi dalla paura, da qualcosa di infinitamente troppo grande per lei. Da quel momento dalle sue labbra non sarebbe più uscita una sola sillaba. Cosetta non avrebbe più parlato.
Suo padre era riuscito a tornare soltanto in tarda serata; raggiunto dalla notizia aveva preso il primo aereo ed aveva fatto più in fretta che poteva; lavorava all’estero, tornava a casa una volta al mese, e qualche volta, con un po’ di fortuna anche dopo quindici giorni.
La piccola era praticamente rimasta in braccio al nonno per tutto il giorno, anche quando le zie avrebbero voluto occuparsene. Tutti avevano voluto bene a sua madre e tutti adoravano Cosetta. La bambina ricambiava sempre i sentimenti di affetto, ma la persona che più amava, dopo sua madre, era sicuramente il nonno, con il quale giocava molto e che andava spesso a trovare alla fattoria, spesso rimanendo anche per la notte. Il nonno era la persona che più riusciva ad avvicinarsi alla sua anima; bastava uno sguardo tra di loro per intendersi al volo.
Suo padre non avrebbe potuto smettere di lavorare, era un personaggio di un certo peso nel suo ambiente lavorativo e comunque non sarebbe riuscito a chiudersi in casa con sua figlia … tanto somigliante alla madre. Anche lui voleva bene a Cosetta, ma doveva affrontare il suo dolore in un altro modo. Ripartì quattro giorni dopo e si dedicò al lavoro, notte e giorno.

Tutti e tre seduti intorno al tavolo di cucina, discutevano sul futuro più prossimo di Cosetta. La bambina era tornata alla fattoria con il nonno la stessa sera della partenza del padre, dopo averlo sentito parlare tanto con il nonno; ora se ne stava al piano superiore ad accarezzare Tessy, il gatto più grosso che il nonno possedeva.
Le due figlie insistevano con il padre affinché Cosetta andasse a vivere con loro.
“La terremo un po’ ciascuno”, avevano detto; ma il nonno non voleva. Cosetta doveva stare bene, doveva avere spazio per giocare, per crescere, doveva rimanere con lui e ritrovare una parvenza di “casa”. Lo voleva con tutte le sue forze.
“D’accordo, facciamo così”, disse infine alzandosi, “lasciamo che Cosetta prenda la sua prima importante decisione”. Avrebbe accettato qualsiasi cosa la piccola avesse deciso, ma dentro di lui, nel luogo in cui il dolore ancora andava facendosi strada, nel luogo in cui le note di un’arpa continuavano incessantemente a cercare di lenirlo … in quel posto, sperava, con ogni brandello del suo essere, che la bambina decidesse di rimanere con lui.

Ora anche Tommy accarezzava Tessy, seduto sul tappeto, accanto a Cosetta; erano diventati inseparabili e il nonno se ne rallegrava. I furti al pollaio erano finiti e sua nipote aveva finalmente un amico della sua età. Tommy continuava comunque, ostinato, a non voler usare le scale; quando voleva vedere Cosetta, optava ancora per la strada del condotto; semplicemente, si arrampicava.
Il nonno entrò nella stanza e sollevò la bambina all’altezza del suo viso, baciandola sulla fronte.
“Saluta Tommy”, le disse sorridendo; Tommy uscì dalla stanza dall’unica porta che conosceva. Una volta giunti al piano inferiore, il nonno cominciò a parlare …
“Questa è una cosa che devi fare tu, piccola mia” e le spiegò l’importante decisione che avrebbe dovuto prendere, assicurandole che nessuno l’avrebbe discussa. Sorrideva Cosetta, con le gambe che penzolavano dalle ginocchia del nonno; non poteva lasciarlo. Il suo piccolo cuore sentiva quanto avessero bisogno l’uno dell’altra.
Rimase con lui, alla fattoria.

E così, dopo due anni, per la prima volta da quando sua madre se n’era andata … Cosetta si accingeva a prendere la sua seconda importante decisione.
Quel giorno, il nonno sedeva in cucina con il suo sigaro tra le labbra; aspettava la settimanale visita delle figlie. La bambina era in cortile, giocava a rotolarsi nell’erba soffice in compagnia di Fulmine, il pastore tedesco che il nonno le aveva regalato due anni prima e che ora, quando si alzava sulle zampe posteriori per giocare con lei, la superava in tutta la sua piccola altezza. Fulmine decise di andarsene soddisfatto e scodinzolante e Cosetta rimase seduta sull’erba ad ansimare felice per le tante capriole fatte. Si voltò verso la casa; i suoi occhi si posarono, prima, sulla finestra semi aperta al pianterreno, dalla quale usciva una sottilissima scia di fumo; quella del sigaro del nonno. Poi, lo sguardo andò a disturbare il silenzio statico del terrazzo della cameretta ed infine si posò, incerto e luminoso, sulla finestrella a forma di trapezio, della soffitta. Non ci era più salita da quando il nonno ci aveva portato l’arpa di sua madre; quel giorno, però, qualcosa l’attirava proprio lassù.
Cosetta si alzò dal prato, entrò in casa, passò accanto al nonno, salì nella sua stanza, prese il suo orsacchiotto e poi si diresse verso le scale che portavano all’ultimo piano della casa. In piedi, all’inizio della scala, Cosetta stringeva il suo orsacchiotto e sembrava ancora più minuta del solito. I suoi occhi paventavano persino il coraggio, come se quest’ultimo si fosse mascherato per continuare a giocare tra l’erba, con Fulmine.
Il pesante macigno dal quale si era sentita schiacciare un giorno, si stava spostando, muovendo in lei la forza di volontà.
Salì le scale tutto d’un fiato, aprì la porta, si fermò solo un instante per ascoltarne lo scricchiolio. L’arpa di sua madre era la, proprio al centro del locale e davanti c’erano due sgabelli. Cosetta lasciò la porta aperta, avanzò ancora un poco e si sedette sul suo sgabello, accanto a quello della madre.

Gli cadde il sigaro dalle dita, si affrettò a raccoglierlo; da un luogo remoto, ma non sconosciuto gli giunse una musica dolcissima. L’uomo non riuscì più a muoversi per un lungo istante; aveva atteso così tanto questo momento! Ritornò sulla terra assecondato dalla nuvola che lo aveva rapito e si diresse con passi leggeri verso la soffitta. Trovò Cosetta avvolta in una luce magica, intenta a suonare l’arpa. L’immensa emozione che provò, gli fece venire voglia di piangere e lo fece, in silenzio, continuando a rimanere immobile ad ascoltare. Di lì a poco altri passi si avvicendarono su per le scale; erano le sue figlie, attirate dalla musica; anche Tommy l’aveva sentita mentre bighellonava per il cortile della fattoria, lui però spuntò da dietro il vetro della finestra. Un gatto non sarebbe stato capace di fare meglio.
Le zie oltrepassarono il nonno e si avvicinarono di più alla bambina; stava piangendo, o almeno così poteva sembrare. In realtà, dagli occhi di Cosetta stava uscendo una lacrima, una sola, che le rigava dolcemente la guancia ed andava a posarsi, quasi badando al delicato contatto, morbida, sul suo braccio nudo, lasciandole sulle labbra un impercettibile sorriso.
“Sta male, papà … portiamola via di qui”, aveva detto una delle zie con un tono che spezzò l’incanto di quel momento. Le mani di Cosetta si fermarono e la bambina si voltò verso il suo inatteso pubblico; ora guardava il nonno.
“Non sta male”, disse allora lui in un sussurro, rivolto alla figlia che aveva appena parlato, pur continuando a guardare Cosetta: “Questa è la sua voce”.
La bambina aveva sentito di nuovo quel grido disperato nascere dagli abissi della sua anima, ma stavolta era riuscita a dargli sfogo, facendolo affiorare, lasciandolo salire fino al cuore, fino alla gola … per ritrovarselo sulla guancia.

Potete aver udito qualsiasi cosa nello spazio di tempo in cui la lacrima, dai suoi occhioni verdi, finiva sul suo braccio.
Il nonno udì una canzone, una canzone che aveva già sentito e che ora, finalmente, ascoltava per intero.
Tommy udì il miagolio di gattini appena nati ed immaginò Tessy che li accarezzava, leccandoli.
Io … beh, io ho udito la voce dell’anima di Cosetta e quella voce è esplosa nel mio cuore, come un fulmine dentro una nuvola, facendomi sentire in quanta dolcezza si può trasformare persino il dolore.

Immaginate ciò che volete, ma non scordate mai la voce di Cosetta. La voce dell’amore.

 

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