di Sergio Scuffi
Cenni di storia sul Carnevale
Il carnevale è una consuetudine che, se pur legata alla tradizione cristiana, presenta di fatto delle manifestazioni che mettono insieme il sacro e il profano, la religiosità e il paganesimo, e che affondano le loro radici nelle antiche civiltà greca, con i suoi riti dionisiaci, e latina, con le feste dei saturnali.
Le sfilate carnevalesche sono delle tradizioni che, attraverso modalità e riti sedimentati nei secoli, portano al loro interno varie simbologie, riferite all’ambiente rurale e alle varie credenze legate al susseguirsi delle stagioni, ai lavori nei campi, alla fertilità della terra. In modo specifico e prevalente, le manifestazioni popolari volevano sottolineare come un particolare momento di gioia e spensieratezza la fine dell’inverno.
Festeggiare il carnevale ha avuto quindi un significato di liberazione momentanea dai vincoli costituiti dalle leggi e dalle consuetudini, dalle costrizioni della vita quotidiana, dall’obbedienza e dalla sottomissione alle classi dominanti, simboleggiando una specie di rinnovamento, che andava di pari passo con l’imminente apparire della bella stagione.
Da queste credenze e consuetudini hanno avuto origine anche i vari proverbi e massime, prima fra tutte la famosa “a carnevale ogni scherzo vale”, originata dalla nota espressione latina “semel in anno licet insanire” (una volta all’anno ci si può anche comportare da pazzi); l’occasione consentiva, per una volta, di sbeffeggiare i ricchi e i potenti: poi, il giorno dopo, tutto sarebbe tornato alla normalità.
I più noti e frequentati (ed anche quelli organizzati con maggiore dispendio di mezzi ed energie) sono i carnevali delle città grandi o piccole (Viareggio, Venezia, Ivrea, Putignano….); tuttavia, quelli che maggiormente esprimono la cultura contadina ed il senso del territorio, il mutare delle stagioni, il legame con la storia e l’appartenenza alla terra, vengono rappresentati nelle località di montagna e, in particolare, nelle vallate alpine.
In queste manifestazioni si mescolano saggezza ed ironia, divertimento e trasgressione, vivacità, gioia e tristezza, movimento, colore, voglia di nuovo, attesa della nuova stagione e dei nuovi frutti.
Molte sono le località alpine che annoverano importanti e caratteristiche sfilate carnevalesche; tali occasioni costituiscono un forte richiamo di visitatori, incrementando in modo significativo i flussi turistici nei centri della Valle d’Aosta, del Trentino e delle Alpi Orientali.
In Valchiavenna la tradizione si era un po’ persa, dopo gli anni ’50-60, mentre ha resistito fino a pochi anni fa la sfilata delle maschere di Menarola, realizzata ancora fino al 2006.
Il Carnevale a Samolaco: la Bagüta
A Samolaco l’organizzazione del corteo mascherato si svolge da tempi immemorabili; nessuno fra gli anziani interpellati ha saputo indicare delle date precise, salvo affermare di averlo sempre visto e seguito, fin da piccolo. Di fatto sono state trovate alcune (poche) fotografie dei tempi passati, la più bella e pittoresca delle quali pare risalga agli anni venti del Novecento. Si tratta di una grande foto di gruppo in bianco e nero, sulla quale però qualcuno ha sovrapposto successivamente dei colori, e che rappresenta una folta schiera di figuranti. Vi si riconoscono i “capi”, gli arlecchini, i musicanti, qualche figura di animale, mentre altri personaggi non sono facilmente identificabili; i protagonisti della sfilata sono colti in un momento di pausa e, sicuramente, sono stati accuratamente messi in posa per l’occorrenza.
(La vecchia e il suo accompagnatore (végia e porta-végia); in effetti la vecchia è un pupazzo, abbastanza disarticolato, portato (a volte sbatacchiato qua e là) da un uomo altrettanto vecchio che interpreta il marito; il pupazzo ha la pancia imbottita di finte budella (un tempo camera d’aria di bicicletta, oggi belle salsicce!), che devono apparire con tutta la loro crudezza, insieme ad un contenitore con finto sangue opportunamente celato, ogni volta che la vecchia si sente male, emette lamenti strazianti (in effetti lo fa una maschera vicina) e viene sottoposta ad intervento chirurgico, adagiata direttamente per terra o sopra il carretto dei suonatori di fisarmonica)
Io stesso ricordo di avere visto da ragazzo, con curiosità ed un certo timore, quella pittoresca sfilata: si è potuto accertare che il corteo mascherato si è svolto, per l’ultima volta, nel 1957.
La denominazione di “Bagüta” ha origini incerte, ma il significato del termine, a Samolaco, è lo stesso per tutti: sta ad indicare una donna brutta, vecchia, malconcia e peggio vestita che, naturalmente, è il personaggio principale. Costei, colpevole di avere trascorso la giovinezza in modo non proprio esemplare e castigato, paga ora le sue colpe attraverso sofferenze di vario genere, anche se, come vedremo, viene puntualmente e ripetutamente soccorsa da una singolare ed efficiente équipe medica!
Quanto alle modalità organizzative, gli anziani affermano che, di regola, la sfilata si muoveva un anno da Era a S. Pietro, per fare poi il percorso inverso l’anno successivo, e così via. Quelli di S. Pietro, in particolare, riferiscono che l’annuncio della data in cui si sarebbe svolta la manifestazione veniva dato il giorno di S. Antonio quando un banditore, dopo la messa, lo gridava ai quattro venti dall’alto del muretto che delimita il sagrato. In paese si mormorava anche che, ad un certo punto, si sarebbe creato un dissidio fra i parroci delle due frazioni, uno dei quali, non proprio favorevole a questa manifestazione “contraria alla morale ed al buon costume”, avrebbe posto il proprio veto alla Bagüta nel territorio della propria parrocchia: sta di fatto che, negli anni, il corteo finì per partire da Era e fermarsi presso le frazioni intermedie, senza più completare il percorso tradizionale.
Dal momento dell’annuncio, in grande segreto, ferveva il lavoro di preparazione, attraverso l’impegno assiduo non tanto dei figuranti quanto di una schiera di persone, scelte soprattutto nell’ambito familiare o delle più strette amicizie: trovare i materiali, tagliare e cucire, provare e riprovare, fino a quando costumi e maschere non erano pronti per la bisogna.
E qui si mostrava l’abilità delle donne di casa, madri e sorelle, mogli e fidanzate, che dovevano ottenere il risultato finale attraverso l’uso di pochi e poveri materiali: pezze, vecchi vestiti, avanzi di stoffa, nastri (bindéi) e quant’altro potevano fornire i poveri guardaroba e le cassapanche di casa. Il risultato, manco a dirlo, era strabiliante, sempre in grado di stupire e divertire grandi e piccoli durante la fatidica giornata.
(L’orso e il suo custodei bisacòtt (goffi quanto simpatici pancioni, imbottiti con grandi quantità di brattee ottenute dallle pannocchie di granoturco: quelle che un tempo costituivano la bisèa, il povero materasso in uso fino al dopoguerra
La mia Bagüta
E qui posso fare appello ai miei ricordi da ragazzo, quando assistevo con curiosità, accompagnata da rispettoso timore per la maggior parte dei figuranti, all’arrivo chiassoso ed allegro delle maschere appartenenti al corteo della Bagüta.
Annunciata da lontano attraverso urla, schiamazzi, suoni di strumenti vari, anche improvvisati (trombe, fischietti) e dall’immancabile fisarmonica, la Bagüta raggiungeva ben presto il paese.
I primi ad arrivare erano gli arlecchini, diavoli e folletti vari, che irrompevano e dilagavano ovunque, si infilavano in strade e vicoli, entravano nelle case, ne uscivano di corsa per tornare a precipitarsi in ogni varco aperto. Queste figure erano impersonate dai giovanotti più agili e prestanti che, trovando le porte sbarrate, non esitavano a raggiungere i piani più alti delle abitazioni con spericolate scalate su per le “lòbie” (i caratteristici ballatoi in legno che ricoprivano intere facciate, anche su più piani, e servivano normalmente per l’essiccazione delle pannocchie di granoturco, legate a mazzi e ordinatamente collocate sopra le traversine). Il loro scopo era sorprendere e “scarbonare” le persone che si erano barricate in casa, dimostrando una particolare predilezione per le ragazze. Queste reagivano con fughe e grandi strilli, anche se è lecito pensare che forse la paura si mescolava con il divertimento (spesso, tra i figuranti, vi era anche qualche moroso, più o meno segreto). Il corteo era comunque accompagnato e guidato da un buon numero di “capi”, i quali intervenivano ogni volta che fosse necessario bloccare gli eccessi.
Nel frattempo avevano fatto il loro ingresso anche i personaggi più particolari ed attesi: l’orso, legato ad una grande catena, la vecchia, portata a spalle, il dottore, la guardia, accompagnati ed attorniati da una numerosa schiera di altre figure, compresi alcuni animali. Come già detto, tutti erano rigorosamente irriconoscibili grazie alle maschere fatte in casa, così come i costumi, ottenuti dal recupero di vecchi abiti, conservati appositamente e levati, per l’occasione, da armadi e cassapanche.
Raggiunto uno spazio idoneo (la piazzetta del paese o un semplice slargo tra le case), si poneva in atto la rappresentazione più attesa, che di anno in anno si replicava nella stessa, identica maniera, ma ugualmente suscitava curiosità, attesa, divertimento: il malore della vecchia, il soccorso da parte del “dottore”, che si esibiva in un improvvisato, quanto truce, intervento chirurgico (“uperazióon”), con tanto di sangue, budella tranciate di netto e gettate in una cesta (quando non addosso agli atterriti spettatori), ricucitura a base di spago e ago da materassaio. Ed ecco che la vecchietta riprendeva vita e vigore, per ripartire, sempre sulle spalle del “portavégia” (in effetti la vecchia era un pupazzo, mentre qualcuno dei figuranti, stando lì appresso e badando bene a non farsi identificare, le prestava la voce per gli strazianti lamenti).
I medici, gli infermieri, il porta-cavègna (con una grande cesta piena dei più incredibili attrezzi chirurgici: cesoie, pinze, martelli, siringhe da animali, spago, aghi da materassaio, barattoli e boccette dal contenuto misterioso…)
Nel frattempo le altre maschere ballavano, si rincorrevano, provvedevano a sporcare abbondantemente con carbone e fuliggine i volti di chiunque capitasse loro a tiro. Non mancava chi, diligentemente, si occupava della raccolta di offerte, con il tradizionale ed eloquente gesto dello sfregamento del dito indice contro il pollice: con il ricavato si sarebbe poi fatta una bella cena in compagnia. L’orso, trattenuto a stento da un cacciatore che stringeva una catena grossa ed arrugginita, tirava in tutte le direzioni, spalancava le enormi fauci irte di grossi denti, si sdraiava per terra per poi rialzarsi di scatto, urlava in modo impressionante, lasciando i bambini atterriti a stringersi contro le gonne delle madri: si quietava, finalmente, solo con la minaccia rappresentata da un grosso bastone che gli veniva battuto sul groppone, o dal fucile che il suo custode gli puntava contro.
Alla fine il corteo se ne andava, tra la soddisfazione generale: molti avevano potuto ristorarsi, durante la breve permanenza, con delle allegre ed abbondanti bevute, accostando la bocca direttamente al fiasco o alla botticella (butìgia) che i presenti non mancavano di offrire.
E poi tutti si incamminavano verso la prossima méta, una delle tante frazioni del Comune, e così fino a tarda sera, o a notte inoltrata
La Bagüta è tornata
Ebbene, nel febbraio 2010 la tradizione è stata rispolverata, con molti giovani che hanno risposto all’invito dell’amministrazione comunale, giunto a conclusione di un corso per la valorizzazione del territorio. Dall’ultima sfilata in maschera erano trascorsi oltre cinquant’anni e i rappresentanti di vari gruppi ed associazioni, di tutte le frazioni di Samolaco, hanno ridato vita a questa manifestazione, interpretata in chiave un po’ più moderna (trasferimenti fra le varie frazioni, lontane una dall’altra anche diversi chilometri, con l’ausilio del pullman, suonatori di fisarmonica a bordo di un carretto trainato dal trattore). Inoltre sono stati lasciati da parte, molto opportunamente, gli “squitràcc”, rudimentali pompe ricavate dal legno di sambuco che venivano riempite con i maleodoranti liquami delle concimaie, poi generosamente spruzzati addosso ai malcapitati spettatori, mentre il carbone è stato sostituito con delle più moderne (ed innocue) creme da trucco.
Anche alcune persone anziane hanno contribuito volentieri a ricostruire i costumi in uso nel passato. Il corteo mascherato, partito dal Giumello, ha poi raggiunto Somaggia, S. Pietro, Era e le frazioni minori, impegnandosi, salvo brevi pause, per l’intera giornata di sabato 13 febbraio.
Nel tardo pomeriggio a Era tutti hanno fatto una lunga sosta nel piazzale del municipio, con la presenza di varie autorità locali e l’allegra esibizione del Corpo Musicale di S. Pietro.
Notevole è stata la soddisfazione di grandi e piccini; specialmente ai più anziani non è sembrato vero rivedere scene a loro familiari, e capaci di far rivivere alcuni dei momenti più belli del tempo passato. Molti anche i visitatori venuti da fuori che, attratti ed incuriositi da questo evento particolare, non hanno esitato a mescolarsi con il pubblico e le maschere, partecipando attivamente alle varie rappresentazioni, accettando di farsi “scarbonare”, familiarizzando con tutti i presenti, scattando numerose fotografie ed informandosi sulla possibilità di replica della Bagüta anche per gli anni successivi.
I Saturnali, festività della religione romana, si svolgevano dal 17 al 23 dicembre e avevano inizio con grandi banchetti, sacrifici, in un crescendo che poteva anche assumere talvolta caratteri orgiastici; i partecipanti usavano scambiarsi l’augurio “io Saturnalia”, accompagnato da piccoli doni simbolici, detti strenne. Durante questi festeggiamenti era sovvertito l’ordine sociale: gli schiavi potevano considerarsi temporaneamente degli uomini liberi, e come questi potevano comportarsi; veniva eletto, tramite estrazione a sorte, un princeps -una sorta di caricatura della classe nobile- a cui veniva assegnato ogni potere. Il “princeps” era in genere vestito con una buffa maschera e colori sgargianti tra i quali spiccava il rosso (colore degli dèi). Era la personificazione di una divinità infera, da identificare di volta in volta con Saturno o Plutone, preposta alla custodia delle anime dei defunti, ma anche protettrice delle campagne e dei raccolti.
L’amministrazione comunale ha espresso la volontà di confermare negli anni questa manifestazione tradizionale, offrendo il proprio sostegno, anche economico, agli organizzatori che sono già al lavoro (considerato che quest’anno -2011- il martedì grasso cade l’8 marzo, al momento della stampa di questo numero la seconda edizione della sfilata mascherata si sarà già effettuata)
” Carnevali alpini”
tratto da “Montagne divertenti n. 16 – primavera 2011
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