di Giulio Ghirelli
Rovistando tra i miei souvenir di viaggio, mi è capitata tra le mani una piccola pietra che mi ero portato da Petra, in Giordania, un luogo dichiarato dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità.
La storia dice che Petra fu costruita duemila anni fa, e secondo un’ipotesi plausibile, il suo nome è la traduzione greca di Selà -che in ebraico significa roccia- con il quale la Bibbia designa la capitale del regno degli Edomiti, che in seguito fu assorbito dal regno dei Nabatei, popolo di commercianti.
Intorno all’ottavo secolo, la città venne abbandonata a causa della decadenza dei commerci e delle catastrofi naturali. In seguito fu abitata da famiglie beduine, e fu ignorata fino a quando, nel 1812, il complesso archeologico venne svelato al mondo occidentale da Burckhardt, un orientalista svizzero.
Le straordinarie facciate intagliate nella roccia ne fanno un monumento unico, al punto che nel 2007 Petra è stata dichiarata una delle sette meraviglie del mondo attuale.
Dopo aver letto la storia e visto le fotografie, nell’anno 2000 presi il coraggio di salire su un aereo.
Ma quando vidi quel meraviglioso luogo, non rimpiansi di averlo fatto, e per Petra lo farei di nuovo.
La mia piccola pietra arenaria, che ha straordinarie venature di diverse tonalità di rosa, per me ha un significato speciale, non solo come ricordo di quel luogo, ma anche per il venditore che me la offrì.
Per portarsi a casa un pezzetto di quelle pietre è sufficiente chinarsi e raccoglierlo da terra, poiché il terreno è cosparso di quella roccia, testimonianza di antiche costruzioni andate distrutte. Ma è anche genere di commercio per bambini beduini che cercano di guadagnare qualcosa vendendole ai turisti.
Questo ai tempi del mio viaggio. Magari le leggi sono cambiate, e ora quelle pietre sono protette.
Mentre stavo facendo una foto, mi venne dinanzi un bambino, poteva avere cinque anni, che teneva in mano una tavoletta di legno su cui vi erano quei pezzetti di pietra variopinta.
Provai tenerezza per quel piccolo venditore. Presi da una tasca un po’ di monete e gliele misi in mano, senza prendere una pietra. Ne avrei raccolta da terra una prima di partire. Ma il bambino non la prese bene e mi guardò accigliato, facendomi segno di prenderne una. Il suo gesto mi stupì, forse significava il decoro di non accettare elemosine? Gli presi una pietra e poi gli indicai la fotocamera per fargli capire se potevo fotografarlo. Lui fece un cenno di consenso e si mise in posa facendomi un sorriso.
Scattai la foto, poi presi altre monete e gliele offersi. Le accettò contento, e io pensai che si sentisse soddisfatto, perché anche stavolta mi aveva dato in cambio qualcosa. La sua immagine.
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