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Il Tour con lo Scarabeo 200

Il Tour con lo Scarabeo 200

di Giulio Ghirelli

Il tour con Fulvio mi aveva lasciato un cruccio per non aver visto i passi San Bernardino e Furka, il mese dopo, a settembre, ho voluto riprovarci. Variando parzialmente il percorso, e aggiungendo altri passi. E siccome lo Scarabeo 200 dava segni di insofferenza nello stare sempre fermo in garage, e di gelosia nei confronti del fratello maggiore -il 400– che era ormai diventato il mio cavallo di battaglia, ho deciso di fare questo viaggio con lui.

Dopo aver valicato il passo Spluga ed essere disceso a Splugen,

ho preso la direzione per il San Bernardino, facendo bene attenzione -a Hinterrehein- a non imboccare il tunnel, ma prendere la strada che sale al passo. Questa volta  il cielo era sereno, e le nuvole non avevano quel minaccioso colore plumbeo del viaggio precedente.

Al passo San Bernardino, l’azzurro del cielo si rispecchiava nelle acque del laghetto, donandogli riflessi splendenti. La vegetazione, dalle calde tonalità, ricordava i paesaggi autunnali. Già queste panoramiche erano un buon inizio.

Il resto della strada, che scende a Bellinzona e risale fino a Biasca, la conoscevo già, ma col bel tempo l’ho rifatta volentieri. A Biasca ho imboccato la strada che, passando da Airolo,

sale al passo San Gottardo. Stando ben attento ad evitare il tunnel autostradale, e prendere la tremola che sale al passo.

Sul libro “100 Passi in Moto” (una preziosa guida regalatami dall’amico Nino Maver), e anche sulla mia cartina geografica, la strada che sale al passo viene denominata proprio con questo termine: tremola.

Non ho ancora approfondito la questione, ma io mi sono fatto un’idea del perché ha questo nome. Questa strada è lastricata a pavé, e a percorrerla in moto è tutta una vibrazione. E quando ti fermi in cima al passo, le braccia continuano a tremolare per qualche minuto. Una cosa è certa: questa strada la devi fare a passo d’uomo, e non solo per le vibrazioni, ma anche perché è più serpeggiante di una biscia, con tornanti talmente chiusi a gomito che bisogna percorrerli appoggiando i piedi in terra.

Ma i suggestivi paesaggi del San Gottardo meritano questo e altro.

Dopo una sosta e qualche foto al paesaggio, sono sceso dall’altro versante fino a Hospental, 

poi ho svoltato in direzione ovest e sono giunto a Realp.

Quindi ho imboccato la Furkastrasse  sono salito al passo Furka, alla rispettabile quota di 2436 metri.

Stranamente, il passo era deserto ed era chiuso anche il bar. Così, dopo una foto, sono disceso dall’altro versante per iniziare, pochi chilometri più avanti, la salita al passo Grimsel.

Se, col San Bernardino, il San Gottardo e il Furka, pensavo di aver visto tutte le bellezze di questo viaggio, ho dovuto ricredermi. Perché i paesaggi del Grimsel sono tra i più belli che ho visto in tutti i miei viaggi.

Un po’ frescolini, visto che pur essendo in settembre c’era un po’ di ghiaccio. Ma il piccolo Hotel Grimsel Passhohe, dove ho cenato e dormito, era ben riscaldato.

Il mattino dopo, con una temperatura che sfiorava lo zero, sono ripartito verso nord, per raggiungere il passo Susten.

Anche qui, paesaggi difficili da descrivere.

E nemmeno le foto rendono come la realtà.

Dal Susten, girando in senso orario, sono ritornato ad Andermatt, dove, anche se la visione di questi paesaggi mi aveva scaldato lo spirito, per il corpo ho dovuto ricorrere al conforto di un punch bollente.

Da Andermatt sono salito al passo Oberalp, che senza la cappa delle nuvole ho rivisto volentieri.
Poi la discesa fino a Disentis e una cinquantina di chilometri, passando per ordinati paesini e rigogliose vallate, per giungere a Reichenau.
Da lì, ancora una quarantina di chilometri in direzione sud, passando per Thusis,

Riom Parsonz

e Savognin,

per arrivare  al passo Julier, con altri suggestivi paesaggi.

Poi la discesa fino a Silvaplana e il solito tragitto che passa per il Maloja,

Chiavenna, il lago di Mezzola

e infine Colico.

A proposito, lo sapete che anche sopra Colico domina un bel monte?

 

Il Legnone. Ma in vetta ci si arriva solo a piedi.

 

 

Quella sera il mio Scarabeo 200 aveva proprio un’aria soddisfatta.

Non solo per i posti visti, ma anche perché in questo viaggio aveva fatto una decina di chilometri in più del suo fratello maggiore.

 

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