di Giacomo Danesi
Adro (Bs) – Novembre 2016 –
Nello scorso numero ebbi modo di ricordare alcuni personaggi, ormai scomparsi, che per diversi motivi non erano certo passati inosservati nei nostri due paesi: Adro e Torbiato. In questa occasione, invece, voglio illustrarvi un argomento, invero curioso, che mette in evidenza un costume che è patrimonio di tutti i paesi d’Italia, ma che sembra destinato a scomparire: il soprannome. Nel nostro dialetto, il soprannome, è conosciuto con il termine “scotöm” o “schitöm”, che il bresciano Gabriele Rosa faceva risalire al greco skotos-onoma, nome oscuro. (Vedi: “Dialetti, costumi e tradizioni nelle Province di Bergamo e Brescia”, Brescia, 1870 – pag. 113). Indipendentemente dalla etimologia, non ci sono dubbi che ancor oggi i “scotöm” sono utilizzati nel linguaggio comune. L’uso di “battezzare” una famiglia, un amico con il soprannome resiste ancora, anche se sembra destinato col tempo a essere dimenticato.
Adro e Torbiato non fanno eccezione. Tra le persone anziane il soprannome resiste. Non così tra i giovani, che oltre a dimenticare la nostra lingua, perché sia ben chiaro il dialetto è una lingua, non si inventano quasi mai dei soprannomi, limitandosi a pronunciare il nome di battesimo in maniera tronca. Mi arrabbio quando sento chiamare una ragazza che porta il nome di Francesca con il diminutivo di “Francy” e via sparlando. Ma tant’è.
Perché fino ad oggi è resistito e resiste il soprannome? Per tradizione? Forse. Con tutta probabilità per necessità. Mi spiego. Nei tempi andati i cognomi in paese non erano moltissimi. Tanti erano, invece, i figli che nascevano e che formavano nuove famiglie. Ma i cognomi che circolavano era sempre quelli. Le famiglie si sono poi allargate e non era facile identificare correttamente una persona per stabilire da quale famiglia provenisse. Ecco, allora, la necessità di affibbiare un soprannome per distinguerla dalle altre con lo stesso cognome. Era, in pratica, un curioso sistema identificativo dei vari rami familiari. Un albero genealogico straordinario e anche una bussola necessaria per meglio orientarsi. Per questo motivo nelle famiglie Lancini un ramo era quello dei “Bertì”, un altro ramo era identificato con il soprannome de “i Got” e un altro ancora con “I Supei”. “I Piligrini” è il soprannome con il quale erano e sono identificate anche alcune famiglie Baglioni. Del ramo Baglioni erano anche “El Ruso”, “El Gamber” e “I Gob”. “Supei” erano e sono anche un ramo dei Vezzoli.
Mitico un Lancini soprannominato “Urecia”. Questi ebbe un giorno l’ardire di prendere un passero e dopo averlo dipinto di giallo lo vendette a un carabiniere della zona spacciandolo per canarino! Sfortuna volle, per “Urecia”, che il canarino fu dal militare dell’Arma, pochi giorni dopo averlo acquistato, lo dimenticò fuori la finestra durante un furioso temporale. Questi provocò sul “canarino” un danno irreparabile. Infatti, la pittura di scarsa qualità usata da “Urecia” provocò il “disastro” di lavare il pennuto che riprese così il suo colore naturale di passero. Lascio alla vostra immaginazione la reazione del militare dell’Arma…
I Torchiani erano e sono identificati con il soprannome di “Ciurcì”; i Calabria con “Scanzerla”, i Del Pozzo con “I Pes”, i Del Barba con quello dei “I Ciulì”, i Loda erano e sono conosciuti come “Cilo”; i Corsini come “Usma”, “Balina” e “Bigina” (ramo Torbiato); i Turla come “Beret”. Curioso il soprannome dei Vavassori : “El Taber”. La professione del designato, naturalmente, era di capitale importanza. Chi non ricorda Tone “El Scristà”, o “Tone de la pesa” e “Tone el Muliner” ? Di quest’ultimo mi è caro il ricordo quando da bambino scoprii che in alcune occasione, soprattutto la domenica sera, faceva da “taxi” con il suo carro dalle ruote altissime e carico di sacchi di farina bianca, a mio nonno Giacomo non sempre in grado di raggiungere la cascina al “Cinquino di Torbiato” per aver alzato il gomito! E’ stato bello poi apprendere che un ramo della famiglia Paganotti ha come soprannome: “Pescatore.” Uno di loro svolgeva una professione importante: ”El sotra mort”.
La famiglia Ghezzi in Adro ha diversi rami. Uno di loro era funzionario nella Finanza: Angelo Ghezzi di cui mi è caro nel ricordo. Ergo, ecco ai Ghezzi il soprannome di “Finanzì”! Se la tua professione era vendere oggetti per la casa e altro come la ferramenta, il soprannome (e non ho mai capito il perché) era ed è “I Paler”. Se vendevi i polli ecco pronto il soprannome: “El pulatì”. Uno di questi abitava a Torbiato, alle Fornaci, e ebbe la sventura di rimanere ferito al braccio destro, rimanendo gravemente invalido, durante l’ultimo conflitto mondiale. Ergo, per lui pronto il soprannome di “El mutilato”.
Nel precedente articolo vi avevo accennato a Torbiato la presenza di “Cia Longa” (per la sua statura e magrezza) e “Cia dei cà”, per via dei suoi numerosi cagnolini con i quali si circondava e che portava con sé anche nelle sue visite alle cascine del circondario per acquistare le uova. Per questo noi bambini la chiamavamo anche “Cia del of”. Del mitico Trosi e la sua bicicletta ne avevo parlato la volta scorsa nel precedete articolo. Il cognome di Trosi? Ferrari. Ad Adro i componenti la famiglia Gorini vendevano nei tempi andati, ed uno ancora oggi, su una bancarella in paese prima, e con un furgoncino dopo, la frutta. Nei primi tempi la bancarella era quasi sempre carente di prodotti. Primeggiavano le biline e le gallette (le arachidi). Nel decidere il soprannome ha avuto la meglio il secondo prodotto: la galletta. Ergo ancor oggi sono conosciuti come “Galeta”. Concorrente ai Galeta era “Scavai”, anch’esso venditore di frutta. Chissà perché gli Allevi, prima “scarpulì” e poi venditori in negozio e ai mercati settimanali di scarpe, sono noti con il soprannome di “Barzai”. Ho chiesto a Germano Allevi se conoscesse il motivo. La sua risposta è stata illuminante. Secondo Germano deriva dal fatto che nel tempi andati la famiglia, proveniente da Palazzolo, vendesse cianfrusaglie che in dialetto chiamiamo (ma il termine è ormai usato pochissimo): “Barbai”. Facile l’assonanza con il termine Barzai. Una bufala, invece, la notizia che il termine provenga dal vizio che uno della famiglia aveva di urlare ogni tanto, sulla pubblica piazza, il termine “Banzai”, alla giapponese. Scoperto che le famiglie avevano quasi tutte, per evidente necessità, un soprannome, quello personale assumeva, e assume, tutt’altra valenza. Incredibile la fantasia con la quale s’inventava di sana pianta un soprannome che il più delle volte sconfinava un epiteto, se non nell’insulto o nella derisione.
Ecco allora “Tone Oca” o “Lixander Caga”. Sembra che quest’ultimo gestisse in paese una osteria. Dietro il banco, a servire i clienti, provvedeva la moglie, che ancor oggi tutti definiscono “donna di specchiato comportamento”. Ma con una “aggravante”: quella dii essere molto appariscente. La qualcosa ingenerava nel marito una certa gelosia, che si evidenziava in una sua frase con la quale rispondeva a qualsiasi domanda che gli era posta: “Caga”! Logico e scontato che il nostro Lixander si sia visto affibbiare il soprannome di “Lixander caga”! “Guido belo” cosa aveva per meritarsi questo soprannome? Semplice: brillava per la sua indubbia bruttezza! E “Cul negher”, titolare di una osteria alle Fornaci di Torbiato? Chissà. Di certo chi frequentava troppo le sacrestie era denominato seduta stante: “Cul bianc”. Forse perché quest’ultimi non andavano a prendere il sole al lago o al mare. Per questo motivo il loro fondo schiena rimaneva immacolato. Tranquilli: andavano al mare e anche al lago… Il figlio del Conte Pontoglio di Torbiato era meglio conosciuto con il soprannome di “El Signorino” per le sue origini, oltre ad essere un impenitente scapolo d’oro. Salvo poi negli ultimi decenni della sua vita convertirsi al sacro vincolo matrimoniale. Bellissimo il soprannome di “Ida delle margiunete”, per via della sua appartenenza alla nota famiglia di artisti dei Muchetti, attori e burattinai da sempre. Il nostro Comune di Adro ha tempo fa acquisito una preziosa collezione di opere della famiglia Muchetti, che definire di immenso valore artistico e non è ancor poco. Chissà che presto non sia rivalutato e soprattutto esposto al pubblico. Qualcuno di voi si ricorda di “El Muleta”? Non passava certo inosservata la sua figura, visto il suo peso. Vederlo scendere dalla sua macchina mastodontica era uno spettacolo. Ed era anche molto simpatico.
A Torbiato ricordo con affetto “La mata Culurinda”. Gestiva con la figlia Domi un bar. Bambino, andavo a vedere la televisione, visto che distava dalla mia abitazione un centinaio di metri. Andavo anche all’oratorio a vederla, la televisione, ma certi programmi non ci erano concessi. “Peccando” andavo allora dalla “Mata Culurinda” che mi permetteva, senza che io “consumassi” essendo sempre stato (così anche in futuro) senza mai una lira, di rimanere seduto, incantato da quella incredibile scatola magica dalla quale si potevano ammirare anche le belle donne! Il Parroco Don Giuseppe Ferrari e la Mata Culurinda era i due che possedevano una apparecchio Tv in paese. Un Ghezzi è chiamato ancor oggi: “El Ciurdo”, soprannome che mi ha fatto sempre sorridere. Questi in gioventù fu anche una speranza del calcio italiano nel ruolo di portiere, dove nel Torino fu per un certo periodo secondo al portiere Terraneo. “El Fornaretto” era ed è il mio Bruno Ghezzi, ramo “Maregm”. Era invalsa l’idea nei nostri genitori che i ragazzi dovevano essere tolti dalla strada, fonte secondo loro di inenarrabili pericoli. Così si era costretti a fare “il piccolo” presso qualche titolare di attività dell zona. A Bruno toccò in sorte fare l’allievo fornaio presso la Forneria Lancini, vicino di casa. Bruno l’ho incontrato proprio in questi giorni mentre tornava da un passeggiata al Santuario della Madonna della Neve, con la moglie Oliva. Abbiamo riso di gusto ricordando alcuni soprannomi di nostri amici. Mitico quello di un nostro carissimo amico, ora scomparso, quando apprendemmo di sue favolose improponibili conquiste femminili. Il soprannome coniato seduta stante? “Ciaù”! Mia mamma, calabrese, non conosceva e non imparò mai il nostro dialetto, e quando il nostro veniva a trovarmi a casa, la mamma lo salutava con riverenza chiamandolo “Signor Chiavone”, suscitando ogni volte un mare di risate.
Alcuni soprannomi erano dettati dalla provenienza geografica. Scontato che se veniva dal sud eri immediatamente identificato con il generico soprannome di “Terù”. I Casali, che abitavano a Torbiato in località “La Larga” provenivano da Suissio in provincia di Bergamo. Ergo, erano noti come “I Suiss”. Il discorso ora potrebbe continuare all’infinito, ma lo spazio datomi è finito. Spero di avervi strappato un sorriso.
N.B: voglio ringraziare i numerosi amici che al pomeriggio si recano presso il Centro Pensionati di Adro. A loro devo riconoscenza per aver fatto affiorare nella mia e nelle loro menti tanti ricordi e tanti nomi con i quali ho scritto questo articolo.
Grazie di cuore.
Per gentile concessione de:
“Il Quadro” – Periodico di informazione di Idea Civica – Adro (Bs) – N. 2 -2016
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