di Giulio Ghirelli
Se vi venisse la curiosità di sapere quali siano i rapporti tra me, mia moglie e la mia moto, vi rispondo subito: il classico triangolo o, come dicono i francesi, ménage a trois. E, come tutti i ménages a trois, anche questo non fu esente da gelosie, che oggi si sono positivamente dissolte. Ma per approfondire la questione dobbiamo tornare indietro di un passo.
Le crisi di gelosia di mia moglie nacquero dopo qualche mese che possedevo il Why. Lei saliva a Colico per il fine settimana e le toccava sorbirsi tutti i racconti entusiastici delle gite che io facevo in motorino. Le raccontavo minuziosamente tutte le bellezze dei posti che scovavo, inerpicandomi per stradine inaccessibili con l’auto. A lei non era mai interessato il discorso due ruote, però incominciò a manifestare rammarico per non potere partecipare alle mie entusiastiche esperienze. Ma il mio Why non era omologato per due persone.
“Cosa dici se prendessi un motorino anch’io? Magari un Ciao, che ha i pedali come le biciclette” azzardò un giorno, timidamente, mia moglie. “In effetti anche tu sei una brava ciclista, e non dovresti aver problemi. Se te la senti…” le risposi. Ma purtroppo il Ciao era fuori produzione. Ebbi la fortuna di trovarne uno su Secondamano. “E’ come nuovo, ha fatto meno di 500 chilometri” mi disse al telefono il proprietario, un anziano signore della provincia di Pavia, che non lo usava più. Andammo a vederlo: sembrava appena uscito di fabbrica! Era anche di un sobrio color verdone scuro. E anche se mia moglie ha la passione per il rosso, disse che le piaceva. Seduta stante lo caricammo sulla mia station e lo portammo a Colico.
La mattina dopo, nel cortile di casa nostra, dopo aver fatto a mia moglie un lungo e minuzioso corso teorico di guida, comprese tutte le raccomandazioni del caso, le affidai il motorino dicendole “Parti decisa!”. Lo stesso incitamento che mi aveva fatto il meccanico quando mi aveva consegnato il Why; quell’accelerata che serve a mettere subito le due ruote in stabilità alla partenza. Ma io avevo anche detto a mia moglie che poi il gas doveva calarlo, e poi ridurlo al minimo e frenare, quando arrivava in fondo al cortile! Ce l’ho ancora davanti agli occhi, la scena: lei parte, partenza bellissima, percorre tutto il cortile -una ventina di metri- ad andatura allegra, si avvicina al muro di fondo, non decelera.
Io grido “Frena!”. Lei non frena. Il muro è ormai a pochi metri.
Io urlo “Frenaaa!”. Ma lei non obbedisce, e fa una brusca sterzata a sinistra per evitare il muro. Il Ciao fa un mezzo giro con una piega da Moto GP, poi si solleva orizzontale e infine stramazza come un toro mattato sopra mia moglie. La ruota posteriore gira vorticosamente, perché la mia consorte non vuol saperne di mollare quell’accidenti di acceleratore! Corro verso la mattanza, spengo il motore, la maledetta ruota che poteva diventare un tritacarne si ferma.
Libero mia moglie dal peso del motorino, il mio sguardo la perlustra in cerca di sangue e carne martoriata. Per fortuna non vedo tracce allarmanti.
Lei mi guarda con aria stralunata, sembra chiedermi con gli occhi: “Cos’è successo? ”.
“Ti sei fatta male? ” chiedo io. “Non mi pare” risponde lei.
Io le sollevo un braccio e le ispeziono minuziosamente il polso. Magari lei pensava a un gesto di conforto, e forse io avrei fatto bene a stare zitto, invece di dirle: “Meno male che non hai ammaccato l’orologio che ti ho appena regalato…”. E forse, con mia moglie ancora in terra, avrei potuto evitare di ispezionare anche il motorino, e poi dire: “Che fortuna! Con te sotto, lui non si è fatto neanche un graffio”.
Lei non mi ha più rivolto la parola, e al pomeriggio è uscita di casa. Quando è tornata mi ha fatto una fredda comunicazione: “Più tardi viene Martina a prendere il Ciao, gliel’ho regalato”. Martina è la figlia di Imma e Livio, due nostri cari amici vicini di casa, che aspettava ansiosa che i genitori le comprassero un motorino. Però mia moglie non è una che tiene il muso, e la sera stessa eravamo fuori a cena a festeggiare lo scampato pericolo, mano nella mano. Ma il discorso ménage a trois rimaneva irrisolto. Almeno fino a quando non avessi posseduto un mezzo che poteva trasportare due persone. Cosa che avvenne con l’acquisto dello Scarabeo. Ci munimmo di caschi gemelli, e gemelli pure i guanti e le tute cerate. C’eravamo invaghiti dell’idea di essere come quelle coppie che vedevamo in moto addobbate allo stesso modo. Come si dice: en pendant ?
Poi ci fu la prova pratica. Innanzitutto mettersi a cavallo della moto, cosa non facile visto la nostra poca agilità e le stazze abbondanti. Comunque, in un angolo appartato del cortile, al riparo da sguardi indiscreti (c’è sempre qualche anima perfida che si diverte davanti alle vicissitudini altrui), riuscimmo a metterci in sella e a prendere il largo. Con qualche difficoltà per il pilota, che se già non era provetto da solo, figuriamoci in due. Facevamo delle brevi escursioni sulle strade che costeggiano il lago di Como, con qualche puntatina su per le alture. Però a me, quella situazione non andava a fagiolo. Io ero abituato a fermami spesso, per ammirare un paesaggio o fare fotografie, magari anche in situazioni impegnative, in salita o sui cordoli delle strade. E, con tutto l’affetto che ho per mia moglie, avere quei settanta chili di zavorra in più, a ogni sosta era un calvario. Perché -lo dico a chi non fosse pratico di moto- il problema è mantenersi stabili quando ci si ferma e quando si riparte. Basta una piccola inclinazione per sbilanciarsi e finire a terra.
Per non parlare delle acrobazie che a lei toccava fare per salire e scendere dalla moto. Si era anche resa conto che fare il passeggero di una moto è molto meno divertente che guidarla. Inoltre c’era il problema della pipì, le scappava ogni cinque minuti. Lei diceva che era colpa del freddo. Mia moglie è una freddolosa, e fu proprio a causa del freddo che decise di non venire più. Ancora oggi lei insiste a dire che lo facevo di proposito, a portarla in montagna con temperature gelide. E l’ultima volta avevo pure lasciato a casa i suoi guanti. Ma giuro che me li ero proprio dimenticati. Comunque adesso il nostro ménage a trois procede bene, con buona pace di mia moglie, che ha trovato consolazione nei miei reportages fotografici. E, per sua tranquillità, sono pronto a giurarle che sul sellino di sua pertinenza non ci si è mai seduto nessuno. Le ho anche proposto un bel progetto, che ci coinvolgerà in un tour sulle Alpi francesi, in un connubio auto-moto. Ma adesso torniamo a noi. E a questo proposito voglio mostrarvi qualche foto del mio giro che includeva il passo dello Stelvio, il re dei passi. Una delle mete più ambite dai motociclisti.
Allo Stelvio ci vado ogni anno, ma la prima volta non si scorda mai. Anche perché è un percorso impegnativo che, fra su e giù, ha 82 tornanti che non danno tregua. E la prima volta che ci sono andato, nel luglio 2006, il mio Scarabeo 200 non era il massimo come freno-motore e si surriscaldavano i freni.
Questo tour, di circa 380 km. l’ho fatto in giornata.
Sono partito al mattino presto da Colico, sorbendomi il noioso e trafficato tratto fino a Tirano. Da lì a Bormio il traffico è meno caotico, e il percorso diventa più divertente, sia per le tortuosità della strada che per i paesaggi. Ancora una decina di chilometri lungo la bella vallata, e poi lo sguardo si deve concentrare sui tornanti -una quarantina- che portano a quota 2758 metri. La prima volta che sono salito allo Stelvio non pensavo di trovare quella ressa. Come il giorno di mercato a Colico! Negozietti stipati di ogni genere di souvenir e banchetti che spandono un appetitoso odore di salsicce, alle quali è impossibile resistere, con quell’aria frizzantina che tira lì e che stimola lo stomaco.
Un brulicare di gente di varie nazionalità, e moto e bici di ogni genere. Questo passo è una meta ambita anche dai ciclisti e bisogna stare molto attenti, perché quando scendono dal passo viaggiano come schegge. Non voglio dirvi che lo Stelvio sia il più bello (salvo poche eccezioni, per me ogni passo ha il suo fascino), ma sicuramente è il re dei passi. Non per niente i Tirolesi hanno in progetto di far pagare il pedaggio.
Dopo il panino con salsiccia, sono sceso per il versante orientale -quello tirolese- e poi ho fatto rotta verso nord, percorrendo la Val Venosta e passando per Sluderno. (foto)
Una foto al castello e, qualche chilometro dopo, un’altra al monastero di Monte Maria a Burgusio. Poi ho costeggiato il lago Resia, dov’è d’obbligo una foto al campanile di Curon Venosta, che spunta dall’acqua. Vi spiego sommariamente la storia: per fare un bacino idroelettrico hanno costruito una diga e alzato le acque del lago. E così la parte bassa del paese, che stava in riva al lago, è scomparsa sott’acqua, lasciando come unico testimone il campanile, che attira folle di turisti.
Al passo Resia si entra in Austria, e dopo qualche chilometro, a Nauders, ho deviato verso ovest e, dopo aver valicato un piccolo passo, sono entrato in Svizzera a Martinsbruck.
Ho percorso la lussureggiante valle dell’Engadina, lungo il corso del fiume Inn, (foto) e fatto una sosta ad Ardez e a Guarda, che hanno le caratteristiche case coi muri affrescati.
Poi una tirata fino a Celerina e il resto del tragitto è stato il medesimo del precedente: St.Moritz, Maloja, Chiavenna, Colico.
Bormio
Burgusio
Guarda
Ardez
Sono arrivato a casa all’ora di cena, col fondoschiena un po’ dolente.
Ma ragazzi, se ne valeva la pena!
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Diario di viaggio/anzianiincasa*14 maggio 2019