di Giulio Ghirelli
Era il 1983 quando in uno dei miei viaggi di lavoro, percorrendo una stradina di campagna nella pianura della Lomellina, vidi in lontananza un gregge di pecore che brucava tra gli sterpi residui del taglio delle piante di granturco. Niente di particolare, un gregge di pecore come ancora se ne vedono pascolare d’estate in qualche campo. Ma quando giunsi all’altezza del gregge, che brucava vicino alla strada che percorrevo, fui attirato dall’immagine del pastore che teneva in braccio un agnellino.
L’uomo era immobile con lo sguardo rivolto al gregge, che io interpretai come in silenzioso dialogo con le sue pecore. E il modo con cui teneva in braccio quella piccola creatura, il medesimo di un padre amorevole, mi fece intenerire il core come ai naviganti di Dante nell’ora che volge al disio.
Fermai l’auto poco distante da lui, presi la fotocamera che portavo anche nei viaggi di lavoro -a quei tempi usavo la pellicola in bianco e nero- e scesi dall’auto.
Non vidi dei cani, e la cosa mi stupì perché era la prima volta che vedevo un pastore che non aveva bisogno di aiuto per badare al gregge. Mi venne in mente quel passo del Vangelo secondo Giovanni che recita: Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me…
Il pastore, che mi volgeva le spalle, si girò verso di me e per qualche attimo ci guardammo negli occhi. Il suo sguardo mi imbarazzò al punto di non riuscire a dargli un saluto e tantomeno chiedergli se potevo fargli una foto. Pensai che non gradisse la mia presenza con la fotocamera, e decisi di rimettermi in marcia. Ma in quel momento lui smise di guardarmi e rivolse lo sguardo di nuovo al gregge, ma senza voltare la testa. Io interpretai quella postura come un tacito consenso. Allora lo fotografai. Solo uno scatto, perché anche il clic della fotocamera suonava sgradevole in quella scena silenziosa. Avrei voluto ringraziarlo, dargli un saluto, ma non mi riuscì di invadere con le parole quello scenario che mi ricordava i solitari paesaggi pastorali di Segantini.
Tornai alla macchina, e prima di accendere il motore rivolsi lo sguardo al pastore. Non aveva girato la testa verso di me, era rimasto come l’avevo fotografato. Il rumore dell’auto che si metteva in moto mi diede molto fastidio.
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