di Massimo Chiavacci
L’uomo si inerpicava nel silenzio, nel freddo e nella neve, verso una casa isolata sul fianco del monte; la sua mente oscillava tra desideri e rimorsi, paure e speranze, mentre folate di vento gelido penetravano sotto il suo giaccone. Le nubi, alle sue spalle, avevano cominciato a velare il cielo.
Diverse volte si era reso conto di aver trovato una lastra di ghiaccio solo dopo averla contemplata a pochi centimetri dagli occhi, mentre cercava di rialzarsi velocemente da una delle sue goffe cadute. Un’ora dopo le nubi si estendevano fino all’orizzonte e minacciavano di scaricare fulmini, tuoni, pioggia o, più probabilmente, neve. Improvvisamente, mentre tutto si oscurava, si sentì, nella sua piccolezza, dentro qualcosa di immenso che non va giudicato e ordinato ma soltanto vissuto, ammirato e amato, qualcosa che non è estraneo come un oggetto da dominare ma che è parte di noi e di cui noi stessi siamo parte.
Adesso sentiva meno freddo. Faceva sempre più attenzione ai suoi passi, calpestava le orme dell’uomo che lo precedeva, cercava la neve più fresca, vi affondava il tallone per ottenere una presa più stabile, si appoggiava, quando poteva, agli alberi, agli steccati o alle pietre e non cadeva più.
Non sarebbe più caduto? Sapeva che ciascuno raggiunge inesperto la soglia di ogni età della vita, ma quel giorno, in quel preciso momento, gli sembrò di aver capito, o forse di aver ricordato, che non si può cadere da una montagna se noi siamo quella montagna. Quando arrivò alla casa, incredibilmente ancora asciutto, apprezzava il tempo e l’eternità, il silenzio e le parole, la presenza e l’assenza, la solitudine e la compagnia, l’instabilità e l’immutabilità delle cose.
Non avrebbe fatto nulla per cambiarle: l’idea di migliorarle gli sembrava una bestemmia.
Racconti & Ricordi*anzianiincasa_2019