di Sergio Scuffi
Innumerevoli erano i giochi ed i passatempi a cui grandi e piccini si dedicavano nel tempo libero.
Accanto ai passatempi comuni e diffusi ovunque (come il nascondino, o i giochi a carte e a bocce) se ne possono individuare molti inventati dagli stessi ragazzi, i quali compensavano la mancanza di giocattoli con molta inventiva e fantasia, sia nell’immaginare gli scenari delle loro gesta ed avventure, sia nel procurarsi quanto necessario, non esclusi molti giocattoli fatti con le proprie mani (sciurèl, pitéra, sciguéta, šquitrácc, tirasáss, šlitíin, scerc, trigòss).
I giochi più avvincenti, che potremmo definire di società, erano l’anelíin e la zópa.
Naturalmente erano praticati anche i numerosi giochi con le carte, anche se i più diffusi e popolari erano štòpp, šbióta camíṣa, ròba mazètt, oltre agli universali trisètt, šcúa e bríšcula.
anelíin (Era: anelíign)
Disposti in cerchio, o in fila, i partecipanti, uno a sorte iniziava la distribuzione dell’ anelíin, un piccolo anello, appunto, ma più spesso, semplicemente, uno stecchino di legno. Ciascuno, a turno, porgeva le mani unite palmo a palmo, aprendole leggermente per permettere al conduttore di inserirvi le proprie, parimenti unite: costui doveva, con movimenti impercettibili, depositare l’anelíin senza far comprendere a chi fosse toccato. Il più abile era considerato colui che, con mosse e finte varie, sapeva trarre in inganno il maggior numero dei partecipanti circa il destinatario dell’oggetto in questione. Poi rivolgeva a ciascuno la classica domanda: i á scè l’anelíin? (chi ha l’anellino?). Vinceva, e pertanto si aggiudicava il diritto di distribuire l’anelíin per il turno successivo, chi l’aveva ricevuto; quanto agli altri, tutti coloro che non indovinavano dovevano purtè pegn, ossia depositare un oggetto personale in pegno e, successivamente, per riaverlo, fare una penitenza. Questa era la parte più attesa e spassosa, nella quale ci si sbizzarriva ad escogitare le penitenze più strane: correre o saltare in un certo modo, gridare o cantare usando certe espressioni indicate, baciare qualcuno, rotolarsi per terra. Non mancavano le donne che ne approfittavano per farsi sbrigare qualche piccola faccenda domestica: portare la legna, lavare le stoviglie, mungere le capre…
zópa (nascondino)
Il gioco, comunissimo, iniziava con l’estrazione a sorte, o mediante una delle tante “conte” sulla base di note filastrocche, di chi doveva štè sòtt, appoggiandosi ad un muro, sasso, pianta e nascondendo gli occhi per non vedere in che direzione si spostavano gli altri. Dopo aver contato ad alta voce fino al numero stabilito, doveva scovare i compagni nascosti, quindi toccare il luogo della conta per primo, esclamando: “T’ò scè!, Ti ho visto!”. Se la cavavano coloro che, con furbizia e destrezza, ed un po’ di fortuna, riuscivano a raggiungere e toccare il punto in questione prima del cercatore. Per il turno successivo, la conta toccava all’ultimo che si era fatto scovare.
quarantòtt
Gioco con le bocce: chi centra con un colpo solo tre bocce messe in fila, facendole uscire dallo spazio delimitato con un segno tracciato per terra, vince, totalizzando il massimo del punteggio (quarantotto, appunto).
Giochi che riguardavano soprattutto bambini e ragazzi
ciapáss
Giocare a rincorrersi, prendersi (ciapáss) anche col semplice tocco della mano, esclamando la parola d’ordine:
“t’ò scè!”, ti ho preso! Vinceva chi riusciva a prendere gli avversari per
alcune volte, secondo quanto stabilito.
bucíin
Gioco con le biglie, quasi sempre di terracotta colorata; solo negli ultimi tempi erano sopravvenute le biglie di vetro, pomposamente chiamate creštál. Si giocava sulla terra battuta, posizionandosi presso una piccola buca e lanciando ciascuno una biglia verso una riga tracciata per terra. Chi più si avvicinava, aveva diritto di raccogliere tutte le biglie (bucíin), rilanciarle verso la buca e cercare di farvele rotolare dentro con dei tocchi delle dita: a questo modo le “vinceva”. In queste operazioni valevano diverse regole, di volta in volta concordate:
possibilità di pulire per terra davanti alla pallina (bon netè); di muovere leggermente la biglia e riprovare il tiro (bon mööf) o di colpire una delle palline lungo la traiettoria (bon cicch). Al primo errore, subentravano gli altri giocatori, secondo l’ordine di avvicinamento alla riga risultato dal lancio iniziale.
bòcia
Gioco della palla, effettuato con molte varianti e regole anche inventate di volta in volta. Spesso il gioco consisteva nel passarsi la palla vicendevolmente, o nel costituire delle squadre che dovevano cercare di colpire (mazè) gli avversari. Solo più tardi il gioco, ad imitazione del moderno calcio, iniziò a svolgersi usando i piedi e cercando di indirizzare la palla in determinate direzioni.
trigòss
Gioco all’aperto, sulla base di una serie di cerchi e quadrati disegnati con uno stecchino sulla terra battuta. Occorreva gettare un sasso appiattito (šcáia), di volta in volta, all’interno di una delle figure disegnate (chi sbagliava saltava il turno); seguivano poi una serie di prove che consistevano nel percorrere tutte le caselle saltellando su uno o due piedi, procedendo in avanti o all’indietro: vinceva chi concludeva per primo senza errori.
Gioco solo per adulti
móra
Gioco praticato ancora oggi, solo dai maschi adulti.
Si svolge fra due avversari, ed è basato sull’abilità e destrezza. I giocatori espongono contemporaneamente alcune dita, con un gesto velocissimo. Ciascuno proclama ad alta voce il numero che ritiene risulti dalla somma delle dita proprie e dell’avversario: vince, naturalmente, chi indovina, raggiungendo per primo il punteggio prestabilito. Data la particolare velocità dei movimenti, il gioco è spesso causa di alterchi, anche violenti: si tenga conto che, nel frattempo, si consumano abbondanti boccali di vino per… bagnare la gola!
I più comuni attrezzi e giocattoli che i ragazzi si costruivano da sé.
šlitíin (slittino)
Preparati due legni ricurvi (ganusíin, generalmente ottenuti fendendo un unico pezzo accuratamente scelto) con funzione di scivoli, vi si inchiodavano sopra delle assicelle, e lo slittino era bell’e pronto. Poi, munito di una cordicella, veniva trainato in alto su semplici piste, ottenute lungo le strade o in mezzo alle case: da qui ci si lanciava in pazze discese, in gara gli uni con gli altri, con frequenti, impreviste fermate contro qualche muro o palo delle viti (culόnga).
šquitrácc (šquitácc)
Rudimentale giocattolo, simile ad una pompa, ricavato svuotando un ramo di sambuco, ed in grado di “sparare”, emettendo anche un certo schiocco, delle pallottole di canapa, per mezzo della pressione esercitata da uno stantuffo spinto dentro la parte posteriore.
tirasáss (tíra-sass)
Fionda: una semplice forcella di legno a cui si legavano delle strisce di gomma
ricavate dalla camera d’aria di bicilcetta.
scerc
Cerchione di bicicletta, privato di tutti i raggi, che si faceva correre, guidandolo con un ferretto opportunamente uncinato.
pitéra
Particolare zufolo che si ricavava dalla corteccia dei virgulti di castagno. Durante il primo periodo vegetativo, quando circolava abbondantemente la linfa (biüü), si delimitava col coltellino una sezione di corteccia lunga una ventina di cm., dopodiché si torceva fino a farla staccare. Estraendo il legno, la corteccia rimasta vuota, come una cannuccia, veniva raschiata esternamente ad una estremità che, posta in bocca e soffiata, emetteva un suono abbastanza simile ad una … pernacchia: tanto bastava per far felici gli improvvisati musicisti!
sciguéta
Particolare fischietto, costituito da due rametti di vite (surm nt) accostati, e con interposta un apellicina ricavata dalla corteccia dello stesso legno: soffiandovi attraverso, la vibrazione produce un suono simile al canto dell’uccello omonimo.
sciurèl
Fischietto, zufolo. Da ragazzi si costruivano con la corteccia di giovani virgulti di castagno, a primavera.
táula mulína
Gioco che consiste nel cercare di fare ”fila”, ponendo tre damine lungo i lati, le diagonali o le due linee mediane che tagliano in quattro parti uguali un quadrato. La base veniva spesso improvvisata tracciando delle linee per terra, oppure su una pietra levigata, usando poi per il gioco dei sassolini, fagioli o piccole pigne di larice.
Immagini estrapolate dal libro
Nü’n cuštümáva
su gentile concessione dell’autore
IDVV- ISTITUTO DI DIALETTOLOGIA E DI ETNOGRAFIA VALTELLINESE E VALCHIAVENNASCA
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