Aprile 2017
In questo periodo sono molto stanca e non capisco come mai. Sto dormendo più del dovuto e i sogni mi tengono meno compagnia del solito. Numerosi anziani, che ancora se la cavano da soli, dicono che è brutto invecchiare perché non riescono a fare tutto quello che facevano “una volta”. In effetti lo dicevo anche io quando stavo bene, quando vivevo da sola e riuscivo a fare le mie piccole faccende quotidiane in maniera indipendente.
A 85 anni io ero abbastanza arzilla e ricordo che mia nuora, trovandomi un giorno in cima alla scala mentre cambiavo le tende, si arrabbiò tantissimo, tanto che poi io le risposi, un poco risentita “Ma insomma a 85 anni non posso cambiare le tende?” Per fortuna ero riuscita a pulire i vetri prima che arrivasse!
Tutti pensano che quando si ha “una certa età” non si riesca a fare più nulla e ti guardano quasi con compatimento.
Vi assicuro che non è così.
Quando noi attempati riusciamo a fare ancora alcune cose … lasciatecele fare!
Ricordando quel giorno, ora che ne ho 95 e sono ancora più matura, col senno di poi, capisco il perché mia nuora si è tanto arrabbiata. Sarei potuta anche cadere e credo che ora non sarei qui a parlarne. Posso proprio dire che mi è andata bene ma, comunque, anche se mi sarebbe piaciuto, da quella volta non sono più salita su di una scala.
Quando ero giovane, ne ho fatte di cose. Altro che salire e scendere da una scala!
Ricordo una sera, all’epoca della guerra. Erano circa le 22.00. Io e mia sorella eravamo in casa davanti al fuoco. Ascoltavamo alla radio il bollettino della giornata. Ad un certo punto sentimmo dei colpi secchi alla porta. Mio padre si alzò dalla sedia visibilmente preoccupato perchè temeva fossero i fascisti che rastrellavano i paesi in cerca di partigiani da arrestare o fucilare direttamente sul posto. Aprì la porta e si trovò di fronte due inglesi con le armi in spalla. Erano affamati e cercavano un riparo per la notte.
Mia mamma diede loro un piatto di minestra e del pane nero con del vino. Avere il pane nero, in quel periodo, era un lusso. I due stranieri, sebbene si esprimessero in un italiano stentato, riuscirono a farsi capire da mio padre: chiedevano ospitalità per la notte. Mamma e papà non erano propensi ad ospitarli soprattutto perché io e mia sorella eravamo poco più che ventenni ma, alla fine, cedettero. Quella notte mio papà non dormì.
La mattina seguente sentii i miei genitori discutere in cucina. Mi feci coraggio. Entrai e, appena mi videro, smisero subito di parlare. Chiesi cosa stesse succedendo e la risposta non tardò.
Bisognava aiutare i due inglesi e vi erano solo due modi per farlo: nasconderli, fatto alquanto pericoloso, o accompagnarli al confine svizzero. Mia madre non era concorde né per un fatto né per l’altro ma bisognava decidere e in fretta. Alla fine acconsentimmo di aiutarli perché continuavano a ripetere “Switzerland please”. Il confine era a una quarantina di chilometri e mio papà conosceva molto bene sia il percorso sia i boschi che ci dividevano dalla Svizzera.
A quell’epoca le strade erano sterrate e prive di lampioni. Si percorrevano prevalentemente in bicicletta o con il carro per trasportare il fieno. Per farla breve, in tarda serata iniziammo il viaggio: io e papà su di una bicicletta e i due inglesi su di un’altra. Li accompagnammo col cuore in gola, sperando di non essere intercettati dai fascisti. Arrivati vicino al confine, mio papà indicò loro, gesticolando, l’ultimo tratto di strada da percorrere.
Ricordo, come fosse ora, come i due inglesi, commossi, lo abbracciarono per poi dirigersi verso quella che doveva essere la loro salvezza.
Era l’alba, eravamo molto stanchi ma si doveva tornare a casa. Credo di non aver mai avuto così tanta paura in vita mia come quella notte. Mi sono sempre chiesta che fine avessero fatto quei due soldati inglesi, ma so che non lo saprò mai.
“Nonna bis” Classe 1921
Racconti & Ricordi*anzianiincasa_2017