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Il Papavero

Il Papavero

di Giacomo Danesi

Correva l’anno 1952, e nel drammatico dopoguerra la gente leggeva i giornali alla ricerca di una notizia positiva, che permettesse di guardare al futuro con più fiducia.
Al duro diuturno problema di mettere insieme il pranzo con la cena, altri preoccupanti interrogativi agitavano il sonno degli italiani.
Sorrisi e Canzoni d’Italia (oggi TV Sorrisi e Canzoni) titolava, infatti, a grossi caratteri: “Nilla Pizzi ama veramente Gino Latilla?”
Che strano periodo abbiamo vissuto noi di quella generazione. Quanti enigmi sono rimasti irrisolti! Anni ’60, Peppino di Capri cantava una canzone dal titolo “Saint Tropez”. Ancora oggi se andate in quella splendida località sulla Costa Azzurra non vi sarà difficile incontrare vecchi signori elegantissimi passeggiare sulla spiaggia. Entrate in confidenza con loro e scoprirete, con stupore, che ancor oggi si chiedono, a proposito della canzone di Peppino di Capri, come mai quella ragazza ballasse il twist indossando un vestito di lamè. Non si è mai saputa la verità, purtroppo!
Un altro enigma è datato una decina di anni più tardi, ed è ancor più inquietante se pensiamo a tutti i problemi odierni riguardo il clima della nostra agonizzante Terra. Lucio Battisti, infatti, cantava: “Come può lo scoglio arginare il mare… ” Domanda rimasta irrisolta, come tante altre.
Ma torniamo a Nilla Pizzi. Che personaggio! Sul quadrante della storia correva l’anno 1951. La cantante al Festival di Sanremo vinse quell’anno il primo, secondo e terzo posto. Le canzoni portate alla vittoria? Al 1º posto “Vola colomba” , al secondo “Papaveri e papere” e al terzo “Una donna prega” . Altri tempi!
Ma come non ricordare le parole di “Papaveri e papere”! Ecco il testo della prima strofa e ritornello, scritto da Panzeri e Mascheroni, con la collaborazione di Rastelli:

“Su un campo di grano che dirvi non so, un dì Paperina col babbo passò e vide degli alti papaveri al sole brillar…e lì s’incantò”.  / La papera al papero chiese / “Papà, pappare i papaveri, come si fa?” / “Non puoi tu pappare i papaveri” disse Papà. / E aggiunse poi, beccando l’insalata:  / “Che cosa ci vuoi far, così è la vita… ” / “Lo sai che i papaveri son alti, alti, alti, e tu sei piccolina, e tu sei piccolina, lo sai che i papaveri son alti, alti, alti, sei nata paperina, che cosa ci vuoi far… “

La povera paperina chinò il capo. E capì.

Sarà bene spiegare subito perché il Papavero è considerato l’emblema dei potenti.
La solita leggenda vuole che il Re di Roma Tarquinio, noto con il soprannome Il Superbo, un giorno decise di spiegare al figlio, in maniera metaforica s’intende, come fosse necessario eliminare gli avversari iniziando dai cittadini più potenti ed importanti.

Così andò in un campo di grano e con un grosso bastone cominciò ad abbattere i Papaveri più alti. Ancor oggi, infatti, si usa l’espressione ” … gli alti papaveri della politica… ” . Che bello ammirare il fiore di Papavero, nei campi di grano! La varietà che possiamo ammirare nei nostri campi porta il nome di Papaver rhoeas, ovvero Papavero comune o rosolaccio.

Fu un certo Carlo Linneo ad affibbiargli questo nome nel 1753. Intelligente la sua operazione linguistica. Prese il vecchio nome latino del Papavero, ovvero papaver, che sarà bene ricordare ha la sua origine celtica di “papa” , ovvero pappa per i bambini. Infatti, gli antichi prendevano il succo di Papavero e lo mescolavano nella pappa, con il chiaro intento di farli dormire più tranquilli. Poi vi aggiunse il nome di rhoeas che deriva dal greco rheo e che significa scorrer via. Perché “scorrer via”? Perché Carlo Linneo osservò che i petali del Papavero erano presto caduchi ad ogni spirar di vento.
I nostri contadini non amano per niente il Papavero. Anzi, fanno di tutto per distruggerlo. E ci sono quasi riusciti. Ho il fondato sospetto che farà presto la fine del fiordaliso, Centaurea cyanus, bellissimo nel suo colore azzurro.
Ormai introvabile nei nostri campi di grano franciacortini il fiordaliso. Conosco però un rialzo nei pressi di un campo, nella zona di Cazzago San Martino, dove d’estate posso godere della loro spettacolare bellezza, permettendomi perfino di raccoglierne qualche esemplare.

Inutile dire che il Papavero del nostri campi non ha nulla a che vedere con il Papavero dell’oppio. Il nostro è quasi innocuo. Infatti, al massimo l’infuso dei suoi petali può facilitare il sonno, calmare la tosse, favorire l’espettorato e attenuare i dolori di ventre.
Particolare importante. Se la vostra lei vuole sottoporvi alla prova di fedeltà, rifiutatevi. L’operazione è, comunque, la seguente: sul palmo della vostra mano è posto un petalo di Papavero. Fin qui tutto bene. La seconda operazione, invece, è piuttosto pericolosa. La vostra lei provvederà a colpirvi con un pugno proprio sul petalo, e se il colpo produce uno schizzo, tutto bene, altrimenti… Datemi retta: lasciate perdere. Gli ortopedici hanno già tanto lavoro!
Fate attenzione al linguaggio dei fiori, prima di fare dono alla vostra lei di un mazzo di Papaveri, Narcisi e Violaciocche.
Il loro significato è preciso e inquietante: “Cara, non so resisterti, anche se sei vanitosa e volubile” . Se siete in questa situazione, cercate di immaginare il vostro triste futuro… Datemi retta. Siete ancora in tempo a rimediare.
E in cucina? Ho assaggiato con golosità un dolce ai semi di Papavero della pasticceria ebraica: eccezionale! Idem in Croazia, dove fra i dolci tipici ho gustato anche la Buconicas Makom, una torta di zucca con i semi di papavero che ho gradito moltissimo.
In Francia, invece, ho assaggiato tra i tanti olii di semi, anche quello estratto dai semi di Papavero. Profumo e gusto veramente delicatissimi.
Ma vediamo cosa il nostro Iginio Massari ci propone con il Papavero.

la ricetta di Iginio Massari

Ingredienti

(per 50 pezzi)
g 50 pinoli
g 250 farina bianca 00
g 5 di lievito in polvere
g 4 di sale
g 100 peperoni verdi puliti e tagliati a dadini
n. 1 cucchiaio di semi di Papavero
g 70 di formaggio
parmigiano grattugiato
g 150 uova
g 30 olio d’oliva extravergine
pepe q.b.

Necessitano
2 placche da forno

 

Preparazione
Preparate il forno a 180°C e tostate i pinoli su una placca da forno, leggermente imburrata, per 7 minuti circa.
Alla fine devono apparire dorati. Fateli poi raffreddare.
Setacciate la farina, il lievito e il sale.
Montate le uova con un frullino per 7 minuti e aggiungete il pepe, i semi di Papavero, il parmigiano grattugiato e i peperoni tagliati a dadini.
Mescolate accuratamente il tutto a mano, e dividete l’impasto in quattro parti.
Formate quattro bastoncini del diametro di cm 3, di lunghezza approssimativa di 30 cm. Spennellateli con un tuorlo d’uovo e un pizzico di sale. Successivamente cospargeteli di semi di Papavero.
Posizionateli sulla carta di cottura su una teglia alla medesima distanza; metteteli in forno e cuoceteli a 180°C per 18 minuti circa, finché si saranno induriti.
Una volta tolti dal forno, ancora caldi quel tanto da riuscire a maneggiarli, con un coltello a lama liscia tagliate ogni bastoncino in diagonale formando delle fettine spesse 1 cm.
Disponetele sulla teglia, in un solo strato.
Ricuocete i cantucci in forno già caldo a 170-180°C per 6-7 minuti, e sfornateli solo quando saranno dorati e croccanti.

Serviteli possibilmente tiepidi.

 

Tratto dal libro  “Mia nonna mangiava i fiori” 

Testi di G. Danesi – Vannini Editrice

 

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Racconti & Ricordi*anzianiincasa_2018

 

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